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«Europa, rischio dissoluzione su Schengen»

La libera circolazione delle persone è un pilastro fondamentale dell’Unione Europea. Peccato, però, che si stia facendo di tutto per sgretolarlo. La Svezia e la Danimarca – e prima ancora l’Austria, la Germania, la Francia – hanno deciso di sospendere le regole di Schengen e ripristinare i controlli ai confini. Per non parlare dei muri fatti costruire dal governo ultra-conservatore ungherese. “Fino a quando non avremo una soluzione europea saranno necessarie misure da parte dei singoli stati membri”, ha detto nelle ultime ore il segretario di stato tedesco all’immigrazione Ole Schroeder. Una dichiarazione di resa fatta dal principale governo europeo, quello di Berlino. Ognuno per sé e tutti – volenti o nolenti – al servizio dei seminatori d’odio, degli xenofobi, degli indifferenti. Memos ne ha parlato con Cécile Kyenge, deputata europea del Pd, ex ministra dell’integrazione del governo Letta nel 2013. L’intervista comincia con un ricordo delle vittime dell’attentato di un anno fa, il 7 gennaio, nella sede di Charlie Hebdo a Parigi.

«A distanza di un anno da quell’attentato – dice Kyenge – posso dire che c’è una sensibilizzazione e una presa di coscienza da parte anche di molti governi». L’ex ministra dell’integrazione parla di opposti estremismi. «E’ chiaro – racconta – che non si possono fare confusioni e dire che sono tutti terroristi. Quindi da una parte c’è il terrorismo in tutte le sue forme che va combattuto con degli strumenti che devono essere quelli comuni a livello europeo, fondati sulla presa di coscienza di una minaccia che mette a rischio la nostra società. Dall’altra parte io parlo di un altro estremismo, di coloro che fomentano la paura attraverso discorsi d’odio. Si finisce per far vincere il terrorismo, perché così si rende la società un soggetto debole sul territorio, in preda alla paura, causata anche dai discorsi d’odio: sarebbe come aprire la strada, lasciare insediare il terrore e le sue stragi. Credo che sia nel bene di tutti affrontare con intelligenza entrambi questi argomenti e non portare la popolazione al panico ma cercare di gestire, di prevenire tutto questo per renderci forti e farci lottare insieme contro la minaccia più grande che è quella del terrorismo».

Cécile Kyenge
Cécile Kyenge

Su tutt’altra questione, quella dei migranti e dei profughi, l’Europa in quest’ultimo anno avrebbe dovuto dare una prova di saper rispondere alla paura, senza alimentarla. In questi dodici mesi, invece, l’Europa ha dato una risposta che si è allineata alla paura, una risposta di chiusura: pensiamo ai muri del governo ungherese, alle ultime posizioni assunte anche dal governo ultra-conservatore polacco, alla sospensione della libera circolazione delle persone da parte dei governi svedese e danese. Cosa ne pensa?

«Non posso che darle ragione – riconosce l’ex ministra Kyenge -. Bisogna uscire da questa logica della paura, dal fatto che ogni paese prova a chiudersi in se stesso per far fronte a quella che il populismo definisce “un’invasione”, quando un’invasione non è. Bisogna saper leggere le statistiche e interpretarle per capire che ciò che accade in Europa è solo una minima parte di ciò che succede a livello globale: lo spostamento, la mobilità, il movimento delle persone. La paura ha portato l’Europa a prendere – su alcuni punti – decisioni che a mio avviso non sono lungimiranti, come quella della chiusura delle frontiere. C’è da specificare un punto: la chiusura delle frontiere come quella che stiamo vedendo in questi giorni in alcuni stati fa parte delle regole di Schengen. Secondo queste regole uno stato può chiudere temporaneamente le frontiere e ristabilire i controlli. Si tratta di misure transitorie che non possono diventare permanenti. E’ qui che noi dobbiamo stare attenti: non possiamo fare un passo indietro mettendo in discussione valori come quello della libera circolazione che rappresenta un passo storico. Vorrebbe dire mettere in discussione tutto il progetto europeo e quindi sarebbe in qualche modo un inizio del declino di quel progetto. L’Europa è forte se è capace di parlare con un’unica voce. Tutto ciò che noi riusciamo a mettere in atto – prosegue l’eurodeputata Cécile Kyenge – deve andare oltre la paura, essere lungimirante come lo sono stati i padri fondatori dell’Europa. La libera circolazione è un passo storico di cui dobbiamo essere fieri. Oggi dobbiamo ribadirlo anche a quei paesi che temporaneamente stanno chiudendo le frontiere: non può essere un’azione permanente, non può esserci un’Europa dei muri e delle frontiere, dobbiamo andare oltre e iniziare ad arrivare ad una politica comune. Uno stato non si può alzare la mattina e fare ciò che gli passa per la testa».

Ma il governo tedesco, con il suo segretario di stato all’immigrazione Schroeder, ha invitato a far da sé, in assenza di azioni comuni europee. Siamo allo sgretolamento dell’Unione, e non solo per colpa del populismo xenofobo delle destre. Cosa ne pensa?

«E’ vero anche questo. La risposta deve essere europea, ma la responsabilità è degli stati membri. Prima di tutto quando uno stato si alza e parla deve capire che l’Europa è anche quello stato. L’Europa non sono soltanto gli altri, l’Europa comincia da noi stessi. Però bisogna anche puntualizzare alcune cose. Il Parlamento, la Commissione, le istituzioni europee, hanno un’agenda che i governi degli stati membri devono attuare, mettere in campo. Invece, molte volte quell’agenda viene bloccata quando arriva al Consiglio europeo, cioè quando arriva in mano ai governi nazionali. Parlamento e Commissione sono sempre lungimiranti, hanno messo in campo un’agenda con dei punti prioritari che stanno aiutando l’Europa ad uscire da questo impasse. Se c’è una crisi è degli stati membri. Quando sento parlare così la Germania mi dispiace. Finché non avremo la risposta comune europea, che parte dalla responsabilità degli stati membri, sarà difficile riuscire a dare una soluzione concreta. Ma i punti prioritari sono stati indicati: la concretezza della solidarietà che si traduce nella ricollocazione dei migranti; la lotta contro il traffico degli esseri umani; una politica europea per agire insieme nel contrasto e nella distruzione della rete criminale degli scafisti».

Quindi è tutta colpa dei governi nazionali e non delle istituzioni europee?

Parlamento e Commissione hanno un’agenda, il problema sono gli stati membri, i governi nazionali. E’ un momento in cui a mio avviso l’Europa deve avere dei leader molto forti, lungimiranti, come sono stati i nostri padri fondatori dell’Europa. Noi abbiamo bisogno di leader che sappiano andare oltre le paure».

Concludiamo con l’Italia. Il ministro dell’interno Alfano ha escluso che il governo intenda chiudere le frontiere. “Non chiuderemo le frontiere – ha detto – ma abbiamo inviato nel nord est del paese numerosi mezzi e uomini anti-terrorismo”. Alfano mette insieme la questione migratoria con quella del terrorismo.

«E’ un gravissimo errore legittimare questa associazione tra immigrazione e terrorismo. Ho apprezzato molto il discorso del presidente della Commissione europea. Junker ha insistito chiedendo di non associare terrorismo e immigrazione. Il rischio del terrorismo lo troviamo ovunque. E’ un tema che a mio avviso oggi deve essere valutato oltre le strumentalizzazioni, oltre il populismo che vuole magari orientare la lotta contro il terrorismo verso una strada particolare. Ma oggi la lotta al terrorismo, che è una lotta globale, deve avere altri strumenti. Il primo: un’unica strategia a livello europeo. Il secondo: dare alla nostra intelligence a livello dell’Europol un punto di coordinamento, altrimenti cadiamo in quegli errori che sono stati fatti negli ultimi tempi dove, per esempio, da un paese all’altro non si passavano le informazioni. E tutto ciò è indipendente dall’immigrazione».

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    Raffaele Liguori
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    Aree interne, non piace il riferimento del governo al declino demografico: per Legambiente nell’Oltrepo pavese c’è un’inversione di tendenza

    Nuova strategia e organismi di gestione per i fondi per le aree interne fino al 2027. Lo ha deciso il governo, con poca convinzione nella possibilità di invertire lo spopolamento e il declino economico di ampie zone d’Italia, più al sud che nel centro nord. In tutto ci vivono oltre 13 milioni di persone. In Lombardia le aree interne sono Valcamonica e Valcamonica in provincia di Brescia, Val d’Intelvi in quella di Como, e l’Oltrepo pavese. Per supportare questi territori ci saranno strutture dalla presidenza del consiglio alle regioni, passando per gli enti territoriali comprensoriali che dovranno attivarsi per coordinare il lavoro in rete. Come nella precedente strategia rimangono centrali i servizi per chi vive in questi territori, dalla sanità alla scuola, passando per le connessioni digitali e i trasporti. L’invecchiamento della popolazione, secondo il documento del governo, appare maggiore in questi territori, i migranti possono aiutare a diminuire questa prospettiva, così come ci sono segnali di ripresa del commercio in alcuni territori. Fabio Fimiani ha sentito Patrizio Dolcini di Legambiente Oltrepo pavese, una delle aree interne della Lombardia.

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    Jazz in un giorno d'estate di martedì 01/07/2025

    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

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    E’ morto l’architetto Francesco Borella, per tanti il papà del Parco Nord Milano. Lo ha diretto per venti anni dagli inizi degli anni ‘80, quando lo ha progettato insieme al paesaggista Adreas Kipar. Cava dopo cava, orto spontaneo dopo orto spontaneo, aziende agricole in dismissione dopo aziende agricole a fine ciclo, ha rigenerato e riconesso con percorsi ciclopedonali l’ampia area che tra Sesto San Giovanni e Cinisello Balsamo si estende a Cusano Milanino, Cormano e ai quartieri milanesi di Affori, Bruzzano, Niguarda e Bicocca. Un parco che negli anni ‘70, quando è stato voluto con le mobilitazioni popolari, sembrava impensabile che potesse avere le presenze che ha il più noto e storico Parco di Monza. Fabio Fimiani ha chiesto un ricordo dell’attuale presidente del Parco Nord di Milano, Marzio Marzorati. Radio Popolare si stringe affettuosamente con un abbraccio ai figli Joanna, Cristiana, Giacomo e Sebastiano Borella.

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    Il podcast di Francesco Tragni e Giuseppe Fiori registrato dal vivo a Germi. Enrico Gabrielli è stato il secondo ospite che ha raccontato quali sono i suoi vinili di riferimento: polistrumentista, compositore e arrangiatore, ha collaborato con artisti come Muse e PJ Harvey, e fa parte dei gruppi Calibro 35, Winstons e Mariposa (in passato anche negli Afterhours). Complessivamente compare in oltre 200 dischi. Ha anche suonato il flauto traverso nella sigla di Dodici Pollici.

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