
Emilio Molinari è il Novecento della sinistra e la promessa di un nuovo secolo di lotte, insieme. In fabbrica a 14 anni, nell’élite operaia milanese della Broletti, agli inizi degli anni sessanta fonda i primissimi comitati di base protagonisti dell’autonomia sindacale, di rivendicazioni per orari e diritti urlate a tutta la città con decine di migliaia di tute blu a prendersi le strade. Già allora Emilio, col suo sorriso sotto i baffi, guardava più avanti alle connessioni internazionali e a quelle con l’ambiente, tra il ’68, il movimento contro la guerra in Vietnam, Avanguardia operaia… I proletari figli del boom volevano tutto: il giusto, il bello e il buono e facevano politica. Con Democrazia proletaria approda in consiglio comunale a Milano e poi in Regione, dove guida la lotta contro le centrali nucleari, le denunce dei grandi e quotidiani disastri ambientali, la scoperta di come l’anticapitalismo si salda con le lotte dei territori e per il pianeta. Arriva al parlamento europeo nell’84 e sarà senatore coi verdi nel 92. Ma è ancora il rilancio dei movimenti che lo vede protagonista con la lotta per l’acqua bene comune, di cui è il tessitore in dieci anni di lotte e comitati che dopo proposte di legge e un grande lavoro culturale, arrivano al referendum del 2011.Un movimento che Emilio descriveva così: “un vero moto popolare, autorganizzato dal basso, trasversale, osteggiato da partiti e media, è stata l’ultima grande occasione persa dalla sinistra”. Col referendum, infatti, vince l’alleanza tra giustizia sociale e ambientale portata avanti dall’ultima unità popolare delle sinistre con il cattolicesimo sociale della Laudato Si e il nascente civismo dei 5stelle. Il campo largo un decennio in anticipo. Che no piace alle dirigenze dei partiti. Che ancora oggi osteggiamo il traino delle lotte sociali. Una delle ultime sue lettere che ho ricevuto é per Gaza erano quattro anni fa. Emilio denunciava la catastrofe già in atto e cercava di promuovere un Tribunale internazionale dei popoli per la Palestina perché Gaza diceva è “la metafora della sconfitta di tutte le parole che abbiamo svuotato: diritti umani o democrazia”. “Dove fermeremo l’asticella dei diritti negati e su questo limite ci batteremo tutti assieme?”, chiedeva. Dobbiamo ancora rispondere caro Emilio.