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Djelimady Tounkara: la modernità di un veterano

Quando vent’anni fa, nel marzo del ’96, Ry Cooder, ancora fresco dell’album di successo Talking Timbuktu con Ali Farka Touré, fu fatto arrivare all’Avana dal produttore Nick Gold per contribuire alla realizzazione di un album per l’etichetta World Circuit, il progetto era quello di un incontro fra musicisti cubani e musicisti maliani: giocando sull’infatuazione che il Mali – non unico in questo senso fra i paesi africani, basti ricordare il Senegal e il Congo – aveva provato per tutta una stagione per la musica cubana, infatuazione che aveva portato alla metabolizzazione di modelli provenienti dai generi della maggiore isola dei Caraibi, in particolare dal son. I musicisti maliani invitati non arrivarono, per via di un problema di visti. Nick Gold e Ry Cooder ripiegarono così sui soli musicisti cubani, aggiungendone sul momento altri rispetto a quelli previsti. Nacque così Buena Vista Social Club, uscito nel ’97, più di cinque milioni di copie vendute, un’ icona della world music.

I musicisti maliani che non arrivarono a Cuba, e ai quali la musica cubana era del tutto familiare erano due: Bassekou Kouyaté, suonatore di ngoni, e Djelimady Tounkara, chitarrista, del quale ora la rediviva etichetta francese Label Bleu ha pubblicato l’album Djely Blues. Chissà come sarebbero andate le cose se tutto fosse filato come da programma, se cioè l’album non fosse stato, eccettuata la partecipazione di Cooder, al cento per cento cubano. Diversi anni dopo, nel 2010, dell’occasione mancata Djelimady Tounkara è stato parzialmente risarcito dalla World Circuit con il suo coinvolgimento in un album, Afrocubism, che con l’incontro di musicisti cubani e maliani riprendeva il progetto originario di Buena Vista, e con lui a rappresentare il Mali c’erano fra gli altri appunto Bassekou Kouyaté e inoltre il popolare suonatore di kora Toumani Diabaté.

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L’album fu ben accolto e premiato, ma intanto il momento era passato, il fenomeno Buena Vista era stato ampiamente sfruttato, e l’impatto del disco non fu neanche paragonabile a quello del primo Buena Vista.

Ma il Buena Vista mancato e l’album poi realizzatosi sono solo due momenti, e non i più importanti, di un lungo percorso artistico: Tounkara è uno dei più rinomati chitarristi maliani e in generale africani, e negli anni settanta si era già assicurato un posto di rilievo negli annali della musica africana moderna. Nato a Kita, città ad est della capitale Bamako, in una famiglia di griot, Djelimady da ragazzino cominciò suonando il tamburo djembé e il djeli ngoni, uno strumento a pizzico ampiamente diffuso in Mali. Arrivato a Bamako negli anni sessanta per fare il sarto, Djelimady si mise rapidamente in luce con una delle straordinarie orchestre sostenute dalla politica di valorizzazione su base locale e regionale dei talenti che il Mali seguì dopo l’indipendenza: e Tounkara fu promosso all’Orchestre National, col ruolo di chitarra ritmica, mentre quello di chitarra solista era occupato Keletigui Diabaté, che poi si sarebbe affermato come percussionista, grande virtuoso del balafon. Presto Tounkara si distinse per la sua capacità di evocare alla chitarra, all’interno di uno stile innovativo, le tradizioni degli strumenti tipici dei griot, il ngoni, il balafon e la kora. Poi negli anni settanta contribuì all’epopea di una delle grandi orchestre della musica africana moderna post-indipendenza, la Rail Band di Bamako: quando nel ’73 Salif Keita lascia la Rail Band, Mory Kante, che ne fa parte come strumentista, lo sostituisce come cantante e viene rimpiazzato alla chitarra da Tounkara. Sulla copertina di New Dimensions in Rail Culture (intestato alla formazione con la denominazione Super Rail Band of the Buffet Hotel de la Gare de Bamako), l’album pubblicato nell’85 dalla britannica GlobeStyle che fece conoscere la Rail Band a livello internazionale, si legge: “Songs composed by Djelimady Tounkara & The Super Rail Band”. Il brano di apertura dell’album era questo Foliba.

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Djely Blues è il primo lavoro interamente strumentale di Djelimadi Tounkara, accompagnato da chitarra basso, chitarra ritmica e percussioni, senza presenza di voci. Oltre, come si è detto, alla trasposizione sulla chitarra della musica suonata, ancora oggi, in particolare con la kora, nella cultura tradizionale mandinga, nel mondo musicale di Tounkara sono confluiti tanti elementi, la musica cubana appunto, quella congolese che di quella cubana a sua volta aveva fatto tesoro, blues, rock e jazz provenienti dall’altra sponda dell’Atlantico, nonché la musica arabo-andalusa, apporti che sono però trascesi, amalgamati in una poetica molto personale: con uno stile chitarristico nitido e amabile, muovendosi fra gli spunti più diversi e le più varie suggestioni melodiche con elegante souplesse, Tounkara risolve tutte le sue fonti, anche la tradizione più profonda, in una luminosa, fresca, affabile contemporaneità. Sobrio, rilassante, Djely Blues è un album delizioso: da alternare a quello elettrico e vivacemente ritmico, uscito lo scorso anno, titolo Ba Power (Glitterbeat), del suo collega Bassekou Kouyaté.

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  • Autore articolo
    Marcello Lorrai
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    “Mi ricordavo di questo omino con gli occhiali che leggeva degli annunci un po’ strani”, racconta Valerio Finessi, regista di “Walter Valdi, un milanese a Milano”. Finessi descrive in un documentario la figura di Walter Valdi (Nicola Walter Gianni Pinnetti 1930-2003), cantautore e cabarettista della squadra storica del Derby Club di Milano. Prima avvocato e poi attore, è stato diretto da Giorgio Strehler, ha sempre scelto di cantare in dialetto milanese, senza però ottenere il successo di altri suoi compagni di lavoro come Cochi e Renato, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci. “E’ stato dimenticato perché la scelta del dialetto meneghino lo ha un po’ isolato” spiega Finessi. Walter Valdi ha scritto brani per il Coro dell’Antoniano, portati in scena allo Zecchino d’Oro e ha recitato in alcuni film di Maurizio Nichetti, Carlo Lizzani, Ermanno Olmi e Luigi Comencini. Ascolta l'intervista di Barbara Sorrentini a Valerio Finessi.

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