Approfondimenti

Dentro Amazon: il lavoro di un magazziniere

Dopo il clamoroso sciopero indetto dai lavoratori di Amazon Italia nel giorno del Black Friday, vi riproponiamo la nostra intervista dell’aprile 2014 a Jean-Baptiste Malet, autore di En Amazonie, libro-inchiesta sulle condizioni di lavoro in un magazzino Amazon francese, frutto della sua esperienza come addetto alla spedizione.

Jean baptiste Malet, qual era il suo obiettivo?

“Il mio primo obiettivo era rompere il silenzio che circonda ovunque i magazzini Amazon. Amazon è una grande multinazionale fondata nel 1995 da qualcuno che nel frattempo è diventato miliardario e che si chiama Jeff Bezos. E’ un’impresa che ha un giro d’affari di più di 62 miliardi di dollari e sulla quale non si sa molto. Non si sa che progetti ha per il futuro, ma neppure si sa come viene condotta nel presente, in particolare per quanto riguarda le condizioni di lavoro dei dipendenti dei magazzini logistici. L’obiettivo del mio libro era dunque mostrare cosa succede dentro un magazzino di Amazon, come si lavora, come funziona e che rischi implica il modello di vendita che sta soppiantando il modello di commercio di prossimità che abbiamo conosciuto fino a oggi”.

Perché ha deciso di infiltrarsi piuttosto che svolgere un’inchiesta tradizionale?

“In effetti da principio sono andato a incontrare dei lavoratori davanti ai cancelli del magazzini di Montélimar, nella Drôme, in Francia. In Francia ci sono quattro magazzini logistici, nel mondo ce n’è più di ottanta, molti sono in Germania, in Spagna, in Italia. E quindi ho semplicemente cercato di parlare con i lavoratori. Ma il loro regolamento interno contiene una clausola specifica che gli vieta di parlare delle loro condizioni di lavoro. Ora, in Francia il codice del lavoro autorizza i dipendenti di una ditta a dire ciò che credono del proprio lavoro, se è duro, se è difficile. Dunque, il regolamento interno di Amazon è contro la legge francese. L’azienda crea un clima di paura tra i lavoratori, che sono diffidati dal parlare con la stampa. Quando poi ho chiesto all’azienda di potere visitare lo stabilimento di Montélimar, il permesso mi è stato negato. I giornalisti non sono stati ammessi neppure quando il ministro dell’industria Arnaud Montebourg ha inaugurato lo stabilimento di Chalon-sur-Saône. Hanno dovuto aspettarlo fuori. E siccome penso che nel XXI° secolo questo genere di segreti sia intollerabile, che si debba sapere in quali condizioni si lavora, ho deciso di farmi assumere. Ho fatto turni di notte, per più di un mese, sotto Natale. E poi ho scritto il libro”.

Puoi descrivermi la tua giornata tipo nel magazzino di Montélimar?

“Il lavoro dentro Amazon è un lavoro duro nella misura in cui lo è quello di molte altre fabbriche. Ci sono però degli aspetti specifici, originali. Quello che salta per primo all’occhio è l’ultra razionalità che sta alla base dell’organizzazione del lavoro. Dico per primo perché devi uniformarti già al tuo arrivo: c’è un parcheggio e un cartello indica chiaramente che è obbligatorio parcheggiare facendo marcia indietro, in modo che le auto siano allineate tutte nello stesso verso. E’ solo un aneddoto, ma dà l’idea del clima. Io facevo il turno della notte, dalle 21 e 30 alle 4.30 o 5.30, a seconda che avessi o meno ore di straordinario. Si entra in capannoni enormi, i più grandi misurano anche 120mila metri quadrati, delle vere e proprie caverne di Alibaba in cui è stipata una quantità di merci straordinaria, maggiore di quella conservata nel più grande ipermercato che conoscete, e di ogni sorta. I magazzini sono sigillati, controllati dalle guardie, in Germania anche circondati di filo spinato. L’ambiente è ansiogeno, bisogna passare il badge, poi attraversare i tornelli e infine attraversare tutto il magazzino per andare a prendere il computer portatile su cui si ricevono gli ordini e con cui si cercano gli articoli. Accendendolo inizia il computo del tempo lavorato. Per arrivare là in fondo ci vogliono 4 minuti. L’operazione va compiuta anche andando in pausa. E così vengono rubati almeno venti minuti di tempo al lavoratore ogni giorno”.

Da quel momento inizia il lavoro vero e proprio..

“Sì, si comincia con una riunione. Dovete sapere che da Amazon l’uso del tu è obbligatorio, anche con i superiori. Il tono è quasi militare e l’obiettivo è galvanizzare i dipendenti con un discorso estremamente ideologico. Non è tanto la fatica a rendere duro il lavoro. E’ l’ideologia. Continuamente ti ripetono lo slogan dell’azienda: work hard, have fun, make history. Lavora duro, divertiti, fai la storia. E il tutto stride molto con il lavoro noioso e ripetitivo che stai facendo. L’inglese è la lingua base del lavoro ovunque si trovi lo stabilimento. Per lavorare bisogna imparare 400 parole. All’inizio del turno un manager, sempre rivolgendosi a tutti in inglese, fa dei piccoli regali ai dipendenti, nello specifico regala delle caramelle. Come a dei bambini. Poi c’è l’applauso, sempre obbligatorio, al dipendente migliore: è quello che ha completato il maggior numero di ordini nella giornata precedente. Ogni attività dei dipendenti è infatti registrata dai computer quindi è facile misurarne l’efficienza. Una cosa importante da dire è che da Amazon non c’è una quota di produttività fissa, o ottimale. Si è spinti ogni giorno a fare di più e più velocemente del giorno prima. La produzione deve solo aumentare, sempre. Se non ce la fai, lasciano scadere il tuo contratto e prendono qualcun altro”.

Come è organizzato il lavoro?

“Il lavoro è organizzato sul modello di una ferrea catena di montaggio, bisogna pensarlo come una fabbrica sterminata, anche se in effetti si producono solo pacchi postali. Tutto ruota intorno a questo. I ruoli sono differenziati, chi scarica i camion, chi va avanti e indietro dagli scaffali, chi impacchetta. Mentre lavori, qualunque cosa tu faccia, sei registrato. Ogni movimento è registrato, metro per metro. Il computer è lo strumento essenziale del lavoro, perché senza quello non puoi svolgere nessun compito. E’ la macchina che dirige i movimenti, anche perché in magazzino gli articoli sono disposti in modo casuale. Scarpe, insieme a libri, insieme a cd. Solo il computer sa dove è ciascun articolo ed è lì che ti dirige per prenderlo dallo scaffale e portarlo all’impacchettamento. Il mio ruolo era proprio questo: ho camminato incessantemente, tutte le notti, per più di 20 chilometri a notte. Fermarsi è impossibile: il manager vede in tempo reale sullo schermo del suo computer quello che stai facendo, se hai rallentato. Può scriverti un messaggio. Il computer tre volte per notte calcola la tua produttività”.

E quindi, un’esperienza dura, che le ha fatto capire che cosa?

“Che la vendita online, la vendita industriale online, è un’enorme macchina che distrugge il lavoro. Dentro i magazzini, perché dequalifica il lavoro: chiunque lo può fare, non serve formazione. Lavoro dequalificato per cui e su cui non si fa nessun investimento: in fondo che cos’è Amazon? Muri, muri con dentro merce. Non ci sono macchinari complessi, solo qualche computer e degli esseri umani. E’ un sistema che produrrà qualche contrattino a tempo, ma che annienta il commercio di prossimità e brucia molti più posti di lavoro di quelli che poi crea. Questo voglio dire a chi ci legge: per muovere la stessa quantità di merce ha bisogno di un diciottesimo del personale rispetto al sistema tradizionale. Quando comprate su Amazon, distruggete il lavoro”.

  • Autore articolo
    Diana Santini
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    Questa settimana Elijah Wald è in Italia per portare sul palco, tra Milano, Torino e Piacenza, le sue storie su Bob Dylan e il Greenwich Village di New York. Chitarrista folk blues ma anche narratore e giornalista musicale, attraverso canzoni e racconti Wald ripercorre nel suo spettacolo il cammino di Dylan e dei tanti personaggi di quel periodo irripetibile. Da Woody Guthrie a Pete Seeger, da Eric Von Schmidt a Dave Van Ronk - quest’ultimo anche protagonista del film dei fratelli Coen “A proposito di Davis” e realizzato partendo proprio dal memoir scritto da Wald. Oggi Elijah è venuto a trovarci a Radio Popolare per raccontarci la sua storia e suonarci alcuni brani tra Mississippi John Hurt, Paul Clayton e Victor Jara. Ascolta l’intervista e il MiniLive di Elijah Wald.

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    Una mostra fotografica ripercorre i 50 anni di Radio Popolare. Dal 14 dicembre a Milano

    Domenica 14 dicembre alle ore 10, presso la Sala Cisterne della Fabbrica del Vapore, a Milano, inaugura la mostra "50 e 50. La mostra. Radio Popolare 1975 - 2025", una delle prime iniziative organizzate per celebrare il 50esimo anniversario dalla fondazione di Radio Popolare. La mostra racconta i cinque decenni "di onda" attraverso venti storie realizzate dai fotografi che in questi anni sono stati vicini alla radio. Inoltre, la mostra ospiterà un’interpretazione creativa realizzata da Studio Azzurro dei video che ricostruiscono la storia di Radio Popolare. La mostra sarà allestita fino al 25 gennaio. Tiziana Ricci ce la racconta insieme a Giovanna Calvenzi, che ne è la curatrice.

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