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“La delocalizzazione è il risultato di una politica assente e dell’avidità delle aziende”

Delocalizzazione Riello

Ancora una volta, nonostante l’accordo sottoscritto da sindacati e industriali e l’annuncio di una legge anti delocalizzazione che non arriva, una multinazionale ha deciso di chiudere, licenziare e delocalizzare. Questa volta tocca agli operai dello stabilimento della Riello di Villanova di Cepagatti, in provincia di Pescara. L’azienda produttrice di caldaie di proprietà di una multinazionale americana ha da poco comunicato ai 90 lavoratori dello stabilimento abruzzese i licenziamenti entro 75 giorni. L’azienda si prepara a trasferirsi in Polonia, per anticipare una crisi che ancora non c’è.

Ai microfoni di Radio Popolare Lorenza Ghidini ha intervistato Barbara Tibaldi, segretaria nazionale della Fiom Cgil. Potete riascoltare l’intervista integrale nel podcast della puntata di Prisma di mercoledì 8 settembre 2021.

Il governo sta lavorando a un decreto anti delocalizzazione. Con chi sta trattando? Ha aperto un dialogo con i sindacati per capire come mettere un argine a questa situazione?

La prima cosa da dire con forza è che il governo non ha aperto nessun dialogo con i sindacati. Non conosciamo il testo su cui sta lavorando. Si sono aperte le gabbie e sono venuti fuori i peggiori difetti della politica e dell’industria internazionale. Il problema della politica è la sua incapacità di guidare. Aziende come la Riello e la Whirlpool facevano parte di un tessuto industriale che grazie all’incapacità della politica di proteggere il lavoro è stato svenduto e colonizzato. Quando la politica non guida e non protegge non fa il suo mestiere, scalda solo le sedie.

Dall’altro lato le multinazionali hanno dimostrato tutta la loro avidità. Queste grandi aziende vanno via per guadagnare e speculare ancora di più. Davanti a questa barbarie un Paese sensato dovrebbe sedersi a un tavolo e pensare al bene comune. Dovrebbere mettere da un lato i rappresentanti dei lavoratori, dall’altro i quelli delle aziende e cercare di aprire un dialogo. Servirebbe una politica più autorevole capace di attivare canali internazionali che impediscano ottiche speculatorie. Annunciare per un mese e mezzo una legge che dovrebbe impedire la delocalizzazione è assolutamente Insufficiente.

Nelle bozze iniziali del decreto anti delocalizzazione si parlava dell’obbligo per un’azienda che vuole delocalizzare di trovare un advisor e cercare dei compratori. Che fine hanno fatto queste ipotesi? 

Il problema è che spesso non si incontrano advisor ma opportunisti. Le false reindustrializzazioni coprono completamente il sud del nostro Paese.
È di pochi giorni fa la notizia di un’impresa del casertano che ha aperto un tavolo di reindustrializzazione in cui sono coinvolte diverse aziende. Una di queste ha preso dei soldi, ha finto di assumerne dei lavoratori, non ha mai iniziato la produzione e ha proposto  di trasferirli in un’altra regione. Servirebbe una legge che metta dei paletti e che consideri un monitoraggio, una regia e soprattutto che non liberi immediatamente le mani alle multinazionali.

Se un’azienda vuole chiudere e delocalizzare deve dare il tempo di aprire un tavolo e trovare un sostituto. È anche necessario che l’azienda mantenga per un periodo le sue responsabilità nei confronti dei lavoratori per garantire che i nuovi proprietari siano realmete intenzionati a preservare i loro posti di lavoro. Nessuno vuole la morte delle aziende. Il punto è trovare regole che garantiscano che imprese che hanno ricevuto incentivi pubblici di milioni di euro non se ne vadano distruggendo il patrimonio industriale italiano.

L’accordo firmato da Confindustria e sindacati confederali in cui le imprese si impegnavano a esperire tutte le strade possibili prima di arrivare al licenziamento è rimasto solo sulla carta? 

Per noi gli accordi sono una cosa seria. Quando firmiamo insieme al Presidente degli industriali italiani e al Presidente del Consiglio ci aspettiamo che tutte le parti si impegnino seriamente. Ciò che è successo in questi tre mesi solleva qualche dubbio sulla capacità di Confindustria di rappresentare le imprese. C’è tanta politica da parte del Presidente Bonomi, ma manca la capacità di rappresentare e guidare.

Foto | Il presidio dei lavoratori della Gianetti Ruote, la prima delle fabbriche a licenziare dopo lo sblocco dei licenziamenti

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Stuart Murdoch: "Il mio primo romanzo non è una biografia, ma racconta la mia storia e la storia della mia malattia"

    Il leader dei Belle & Sebastian racconta "L'impero di nessuno", il suo libro d'esordio, ai microfoni di Volume. Un libro che lui stesso definisce di autofiction: "La maggior parte delle cose che accadono a Stephen, il protagonista, sono successe anche a me". 10 anni fa, Murdoch aveva scritto una canzone con il medesimo titolo: "Il romanzo tocca gli stessi temi: Stephen ha un'amica del cuore, Carrie, entrambi hanno la stessa malattia e si sostengono e ispirano a vicenda". La malattia è l'encefalomielite mialgica: "Mentre scrivevo immaginavo il mio pubblico, e il mio pubblico era il gruppo di supporto per l’encefalomielite che frequentavo negli anni Novanta. Immaginavo di scrivere per loro, e questo mi ha aiutato a trovare il tono giusto". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Stuart Murdoch.

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