
Ci sono Galliani, Lotito e De Laurentiis. C’è il presidente del Genoa Enrico Preziosi e tanti altri con lui. C’è il patron della Fiorentina Andrea Della Valle, che si propone come uomo fuori dai giochi di potere, ma che inciampa un po’ troppo spesso. C’è Alessandro Moggi, figlio di quel Luciano.
Ci sono i soliti nomi, insomma, nella nuova inchiesta sul calcio italiano, questa volta proveniente da Napoli. Le ipotesi di reato sono evasione fiscale e frode.
La portata dell’operazione, nata nel 2012 e evocativamente chiamata Fuorigioco, è grande. Sono 64 i professionisti coinvolti tra dirigenti, giocatori e procuratori.
Non stupisce dunque che i magistrati riferiscano di un “radicato sistema finalizzato a evadere le imposte”. Un sistema, questa la definizione che torna una volta di più. Ed è gravissimo, ma di fatto ciclico.
Gli stessi nomi, con alcune eccezioni, si ritrovano nelle sterminate carte di Calciopoli, padre e madre di tutti gli scandali, che nessuna rivoluzione ha portato con sé.
Da allora tante altre volte il nostro pallone è finito in procura, anzitutto per le scommesse. Che non hanno mai smesso di essere un problema. Altri casi di presunta evasione fiscale e presunte truffe contabili ci sono state, mentre le nostre società non hanno smesso di fallire e non hanno smesso di essere salvate.
D’altra parte i capi del nostro calcio, contro l’opinione pubblica nazionale e internazionale e contro la decenza, sono gli stessi che hanno eletto Carlo Tavecchio a capo della Fgci, nonostante dichiarazioni che avrebbero tagliato fuori chiunque da qualunque competizione.
Invece Tavecchio, che nel frattempo ne ha combinate altre, è sempre lì. Perché rappresenta e tutela chi gli sta sotto. Che pare in grado di affrontare anche l’evasione fiscale.
Forse i meno preoccupati per la situazione del nostro calcio siedono proprio sulle poltrone di comando.