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Da sinistra dico: viva Macron

Mio nipote liceale a Parigi è sceso in strada con i suoi compagni al grido di “Né Le Pen né Macron…” con quel che segue, grosso modo che l’unica via è la rivoluzione o qualcosa di simile – la parola rivoluzione essendo del resto quasi scomparsa dal lessico anche dei più ribelli tra i ribelli. E si capisce, sono ragazzi che ancora non hanno il diritto di voto e il cui modo di espressione politica altro non può che essere la democrazia della strada.

Ma diversa è la responsabilità di chi al voto ha diritto e lo pratica. Perché tra Macron e Le Pen si tratta di una scelta obbligata, o l’uno o l’altra, tertium non datur. A meno di non astenersi o votare scheda bianca. Ma siccome qualcuno voterà, pochi o molti, uno dei due diventerà comunque presidente della République. Quella che in Costituzione vede scolpite Liberté, Egalité, Fraternité. Vale la pena ricordarlo perché allora balza all’occhio l’anomalia Le Pen che con queste tre parole ha poco a che spartire.

Mi dicono amici di là: Le Pen non è fascista ma nazional populista. Certamente ella non ha palesato per ora l’intenzione di abolire il suffragio universale e neppure di scancellare il pluralismo dei partiti, quanto a tutto il resto però il suo programma è fascistoide, xenofobo, razzista, volto a costruire forme statuali autoritarie, nonché nazionalista. E se la nazione – s’interroga un altro amico – fosse diventata l’ambito e lo scudo della democrazia rispetto alle multinazionali senza confini, sans toit ni loi, senza tetto né legge?

Sarà, ma io rimango della vecchia opinione che il nazionalismo sia premessa di guerra, oggi come lo fu ieri – si pensi alle recenti guerre balcaniche. Fracassare l’Europa significa fare un passo verso la guerra. Aggiungo che il fondamento della terra per una politica, cui Le Pen spesso si riferisce, è teorizzato per esempio da Heidegger nel momento in cui abbraccia il nazismo, e di esso nazismo è un mattone costituente. Inoltre la nostra valkiria ogni tanto scivola in lapsus freudiani che riportano a galla l’antica sua formazione e storia marcata dal colonialismo paterno fino al paranazismo.

Ma – si dice – dall’altra parte c’è Macron. Liberale, liberista, esponente della finanza più agguerrita, uomo dei banchieri che farà sfracelli di quel che resta dello stato sociale d’antan e dei diritti dei lavoratori in nome del mercato. Né si può negare che il capitalismo finanziario sia un vero e proprio nemico dell’umanità. Non a caso – m’avverte il compagno antagonista – gli operai plaudono a Marine e fischiano Macron, sostenuto dai ricchi, dagli acculturati almeno diplomati ma soprattutto laureati, da chi viaggia in aereo e non negli sgangherati treni dei pendolari. Di contorno c’è la moglie tanto più vecchia di lui; la cena nella brasserie di Montparnasse per festeggiare il primo turno, le cronache non dicono se a base di ostriche e champagne ma c’è da crederlo; questo incredibile movimento “En Marche” che in pochi mesi è cresciuto tanto, magari troppo e chi ci sarà dietro.

Ora, ascoltando e leggendo Macron, mi pare che egli possa ascriversi ai fautori di un capitalismo cognitivo con un ruolo sociale. Il capitalismo, comunque fondato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, finora è la forma di produzione globale unica senza che, dopo il fallimento dei vari socialismi reali, si veda crescere un modo di produzione alternativo in grado di abolire lo sfruttamento, epperò il capitalismo “sociale” (che è un ossimoro ma poco importa) ritiene che debba aver luogo una redistribuzione della ricchezza tale da rendere l’intera società più florida e più equa, almeno a livello dei consumi e della vita associata.

Qualcuno lo chiama anche: capitalismo progressivo. Perché, se il capitalismo perde ogni funzione sociale, allora rischia la crisi finanche catastrofica. Inoltre il capitalismo cognitivo a vocazione sociale ha nel suo Dna una concezione liberale e universalistica dei diritti sociali e politici senza differenze d’etnia, di religione, di luogo, di genere ecc.. e oggi persino una componente ecologica, da cui le derive autoritarie sono più improbabili e la libertà del singolo di qualunque colore, etnia, religione, sesso, più garantita e ampia.

Quindi, se fossi in Francia, il mio voto a Macron sarebbe assicurato, e non turandomi il naso, bensì convintamente nella situazione data, aggiungendo che se l’Europa così non va, senza Europa andrebbe ancor peggio, potrebbe essere fino alla guerra, come già detto.

Per finire vorrei tornare agli operai che fischiano Macron e abbracciano Le Pen. È una situazione non nuova e già Marx sottolineava come gli operai senza coscienza di classe possano essere reazionari, anzi più precisamente quanto più essi siano lavoratori manuali tanto più saranno succubi del padrone e della sua ideologia. Quando negli Stati Uniti fervevano le manifestazioni di giovani studenti per la pace e per il ritiro delle truppe dal Vietnam, non a caso a picchiarli venivano mandati i muratori, che appunto erano al tempo lavoratori manuali per eccellenza.

Gli esempi si potrebbero moltiplicare arrivando al nazismo e al fascismo, fenomeni di massa con molti proletari al seguito, il che è stato, ed è, tragico ma va compreso senza demonizzare nessuno, tantomeno chi voterà Le Pen. Certo però, chi lo facesse per così dire “da sinistra” sarebbe l’incarnazione del disastro mentale ancor prima che politico cui la sinistra è giunta, per dirla in francese: la bêtise par terre.

  • Autore articolo
    Bruno Giorgini
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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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    Da che parte sta il papa statunitense, Leone XIV? Con l’Europa di von der Leyen e Merz, ma anche di Macron, Meloni e Sanchez? Oppure con gli Stati Uniti di Trump, JD Vance, Musk e Peter Thiel. Oppure con nessuna di queste identità così identificate? Dopo l’attacco della Casa Bianca all’Europa con il «National Security Strategy» viene facile polarizzare lo scontro tra le due sponde dell’Atlantico. Anche se i due poli sono orientati entrambi prevalentemente a destra, con inquietanti sfumature che arrivano all’autoritarismo di stampo fascista (C.Bottis, Trumpismo. Un mito politico, Castelvecchi 2025). Dunque, gli Stati Uniti aggrediscono l’Europa con il NSS, e papa Prevost con chi si schiera? Pubblica ha ospitato oggi Stefano Zamagni (ex presidente della Pontificia Accademia delle scienze sociali, economista) e Paolo Naso (scienziato della politica).

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    Piazza Fontana: ricordiamo la strage e la risposta democratica

    Anniversario numero 56 per la Strage di Piazza Fontana, quest’anno oltre alle istituzioni nella celebrazione del pomeriggio parleranno una studentessa di un liceo milanese e uno dei vigili del fuoco che entrarono per primi dopo lo scoppio della bomba, ci spiega Federico Sinicato, presidente dell’Associazione dei Familiari delle vittime di Piazza Fontana. “L’importanza del 12 dicembre va al di là della celebrazione e del ricordo che si fa in piazza, è una data storica per l’intero Paese perché è l’inizio della strategia della tensione che produce effetti devastanti e blocca di fatto il grande movimento di riforma del Paese nato dalle lotte dei lavoratori e degli studenti, basta pensare che l’approvazione del Senato dello Statuto dei lavoratori è del 11 dicembre, il giorno prima, il momento fu scelto come risposta all’avanzata dei diritti e se pensiamo che oggi questi valori vengono rimessi in discussione. E’ una data sacra per il Paese”, In Piazza dopo le celebrazioni istituzionali ci sarà il corteo dei movimenti con partenza alle 18.30 da Piazza XXIV Maggio. E ci sarà anche l’inaugurazione del memoriale “Non dimenticarmi“, un’installazione permanente nata dal basso che ricorda le vittime delle stragi, donata al Comune di Milano e installata in Piazza Fontana. L'intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia.

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    Nella tempesta dei dazi, i record di Pechino nelle esportazioni, con Gabriele Battaglia. Al confine tra Cambogia e Tailandia si riaccende un conflitto decennale, tra scam city e nuovi nazionalismi, con Paola Morselli, ricercatrice Ispi. A cura di Diana Santini.

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