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Niente concerti almeno fino al 30 settembre: le difficoltà del settore spettacolo

concerti sospesi coronavirus

Concerti e live show: “Primi a chiudere e gli ultimi a riaprire, potrebbe essere il titolo di un film dell’orrore che purtroppo stiamo vivendo”. Lo dice ai nostri microfoni Maurizio Salvadori di Trident Music. Il mondo degli eventi guarda al futuro partendo dal 2021. “Dovrebbe uscire una dichiarazione a breve secondo cui fino al 30 settembre non si farà nulla” sostiene sempre il proprietario di Trident nell’intervista. 

La musica, nella forma concerto, non può vivere senza l’assembramento e un po’ tutti gli attori del settore lo sostengono. L’idea di concerti drive-in non viene nemmeno presa in considerazione come ipotesi. Così il tempo dell’attesa pare essere l’unica possibilità per concerti e grandi spettacoli. 

Forse per teatro e cinema si troveranno delle soluzioni di compromesso, ma non è facile. Come prevenire che non si formino capannelli al bagno? Come evitare ressa in un eventuale abbandono dell’area per motivi di sicurezza? Come si gestisce la presenza al bar? E i cinema, di che cinema parliamo? Un multisala con 10 sale? O il piccolo cinema di quartiere? 

Domande che ad oggi non trovano risposte, anche perché il dibattito scientifico è tanto aperto da non averne… e la pratica di questi mesi è stata quella di allontanare i problemi (“restate a casa”) piuttosto che affrontarli (sviluppo politiche sanitarie attive).

Mettere un punto, se arriverà la dichiarazione del governo, permette però al mondo dello spettacolo di affrontare il prossimo futuro. Festival e rassegne estive non sono ancora state cancellate perché per un promoter cancellare uno spettacolo senza un motivo significa cadere in penali contrattuali. 

Senza un punto è difficile dare a lavoratori e lavoratrici il tempo, e il modo, di re-inventarsi mentre giustamente pretendono il rispetto dei propri diritti. 

Mettere un punto, per quanto parziale, con una data, obbligherà il Paese e chi riflette sul futuro d’Italia, d’Europa e del mondo a fare i conti con l’arte e la cultura. Si tratta di un mondo fatto di persone, vite, necessità, sogni e passioni. È un mondo fatto di fatica e lavoro costante e quotidiano: dall’artista al facchino, passando per tutte le tipologie necessarie a mettere in piedi uno spettacolo. 

Sapere che per diversi mesi non potremo godere di un rito come quello di gustarci spettacoli ed eventi culturali, ma anche di feste e sagre di paese, forse aiuterà a capire il ruolo che cultura, aggregazione e socialità hanno per davvero nella nostra società. 

Gli spettacoli riapriranno per ultimi solo per motivi di sicurezza o perché, a differenza di altre categorie, non hanno una rappresentanza che può forzare “l’andare avanti della catena produttiva”? La domanda sorge spontanea visto che per la “fase 2” si parla di quasi tutto, ma “Per ora riapriamo quello che fa Pil” ha detto il ministro della Salute Speranza. La risposta non c’è ma la si può intuire, visto che viviamo in paese dove se dici di fare l’attore ti viene chiesto “Sì ok, ma qual è il tuo lavoro vero?”. 

Ma che mondo è e sarà senza eventi culturali, feste e aggregazione? Stiamo davvero parlando di qualcosa di non essenziale e del quale possiamo privarci? Contro il coronavirus mancano cura e vaccino, questo significa che  i tempi per la musica live saranno lunghi. Un grande concerto è un rito che passa dal contatto e dalla vicinanza, un rito che non si può celebrare con il distanziamento sociale. 

Sarà possibile ideare soluzioni intermedie non solo per teatro o cinema, ma anche per la musica? Certamente non per tutta la musica e non per tutte le dimensioni dei concerti. Un’esibizione di Springsteen e la E Street Band con le sedute nel prato di San Siro potete immaginarlo? Ammesso che possa suscitare emozione, come si risolve il problema di decine di migliaia di persone che entrano ed escono dallo stesso luogo? Forse con la pazienza, la dedizione e l’ingegno, dopo il 30 settembre i piccoli club o teatri potranno fare spettacoli “intimi” per qualche decina di persone. Sarà possibile presentare un libro in una biblioteca o in una libreria con pochi presenti. Che costi avranno queste soluzioni? L’organizzazione ha sempre dei costi, la riduzione degli introiti dovuta alla limitazione del pubblico come sarà compensata? Se non possiamo accettare di vivere senza eventi culturali possiamo pensare di vivere in un mondo elitario di spettacoli per pochi e ricchi? 

A chiudere: chi lavora nello spettacolo lavora, non si diverte. Per chi è all’interno della filiera è certamente un mondo eccitante, ma fatto di orari alienanti e stress fisico e mentale. È  un lavoro, ma un lavoro che spesso non è riconosciuto, non solo socialmente. I lavoratori dello spettacolo, dal facchino all’artista, non sono una categoria, ma sono frammentati in tanti settori, tanto che alcuni hanno chiesto il bonus di 600 euro per i lavoratori autonomi, altri la cassa integrazione, altri invece non hanno i requisiti per nessun sostegno Parliamo di decine di migliaia di persone. Dimenticarsi di loro è una parte del problema. 

Mettere un punto, il 30 settembre, deve significare occuparsi realmente di quel mondo, tutelarlo, trovare soluzioni condivise. Il tonfo del mondo dello spettacolo porta con sé, quanto meno, l’allargamento della crisi di consumi e di spesa, un caposaldo del capitalismo. Le grandi multinazionali e gli artisti “big” sopravviveranno anche stando fermi fino al 2021, ma cosa sarà dei piccoli? Quando qualcuno domanda beffardo “Qual è il tuo vero lavoro?” dovrebbe pensare invece alla complessità che c’è dietro, al piacere, al rito, alla necessità di crescere in una società che si arricchisce grazie alla cultura, pop o colta che sia. Forse c’è meno da ridere. Forse è davvero un film dell’orrore. E non solo per chi nel mondo dello spettacolo ci lavora.

  • Autore articolo
    Andrea Cegna
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