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Resistenza ambientalista

Lo chiamano “progetto di morte”. Non solo in Honduras ma in tutta la regione del Centro America, dove tra i popoli nativi queste linee disegnate, che fanno da frontiere hanno un significato superfluo.

Quello che conta è la natura e la difesa della Madre terra messa sotto minaccia da progetti faraonici, che hanno ripercussioni appunto mortali sulla popolazione civile. Restiamo quindi in Honduras dove è stato messo in piedi il più grande progetto idroelettrico del Centro America. Si tratta di quello di Agua Zarca, sul fiume Gualcarque, che prevede una cascata di quattro dighe nel bacino fluviale e garantisce elettricità a basso costo per le imprese minerarie nell’area. Sin dall’inizio della pianificazione, partita nel 2006 e incrementata dopo il colpo di stato in Honduras nel 2009, c’è stata una forte resistenza in tutta la regione.

In prima linea le popolazioni indigene lenca, che contano almeno 400 mila persone, un popolo millenario che vive in Honduras e nell’est del Salvador.

La difesa della terra, come dicevamo è nel DNA di queste popolazioni, di cui era la portavoce Berta Cáceras, a capo del Consiglio civico delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras (COPINH), uccisa lo scorso marzo. La sua battaglia era per la vita. Per evitare a migliaia di persone di perdere terra, case e la stessa sopravvivenza. Berta diceva che nella tradizione lenca, nei fiumi risiede lo spirito femminile e che le donne sono le sue principali guardiane.

Per questo una delle maggiori lotte si è concentrata nella difesa del fiume Gualcarque. Già nel 2010 in più di 150 assemblee indigene le comunità lencas bocciarono il progetto di Agua Zarca. La voce contro le dighe è arrivata poi a Tegucigalpa, dove il governo stava pianificando la concessione dell’uso dei fiumi ad imprese private per i prossimi trent’anni. Nel 2013 le popolazioni lenca cominciarono i picchetti nelle strade per impedire l’accesso dei mezzi per la costruzione. Un anno di resistenza, in cui tra mille violenze sono stati uccisi tre leader della protesta.

Ma la battaglia è stata efficace tanto e che il gigante cinese, l’azienda Sino hydro e la International Finance Corporation (il braccio della Banca Mondiale che assiste il settore privato), hanno deciso di disinvestire e togliere il proprio appoggio a Desa, l’azienda hondurena titolare del progetto. A marzo dopo l’uccisione di Berta anche la Banca olandese per lo sviluppo si è ritirata.

Ma gli attivisti chiedono anche agli altri partner stranieri facciano un passo indietro tra cui il Fondo finlandese per la cooperazione industriale, e la tedesca Voith Hydro. L’impresa ora arranca ma la battaglia è dolorosa. Le vittime sono già tante e le minacce continuano. La scorsa settimana in Honduras è stato colpito anche il giornalista Felix Molina, sopravvissuto miracolosamente a un agguato. Il testimone di Berta è stata raccolto dalla figlia, studentessa di 25 anni che al tempo stesso chiede la verità sui mandanti che hanno ucciso la madre. E’ venuta in Europa per denunciare il dramma nel suo paese e puntare il dito contro l’impresa Desa, costruttrice della diga, che – dice: “ha pagato i sicari perché la uccidessero”.

L’Honduras resta uno dei paesi dove gli attivisti rischiano da sempre la vita, almeno un centinaio sono morti negli ultimi dieci anni. Per Berta la costruzione del progetto idroelettrico rientrava nel disegno di un colonialismo moderno, ma aggiungeva che la battaglia avrebbe trionfato. “E’ il fiume che me l’ha detto” aggiungeva.

Effetti collaterali. Popolazione civile in pericolo è la rubrica a cura di Cristina Artoni, in onda ogni lunedì su Radio Popolare alle 9.20

Ascolta la puntata

Effetti Collaterali Honduras

Info:

http://www.itanica.org/wordpress/?cat=2

Iniziativa “Berta Vive” al concerto di Manu Chao/La Ventura il 1/5/2016 a Barcellona

  • Autore articolo
    Cristina Artoni
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    L’esercito israeliano ha lanciato questa notte l’invasione di terra su Gaza City. Da ieri i carri armati sono entrati nel cuore della principale città della striscia, e i bombardamenti hanno colpito senza sosta strade, case, infrastrutture. Da questa mattina, i morti sono 89. Centinaia di migliaia di persone vivono ancora nella città. Migliaia di persone stanno invece cercando di fuggire, in un esodo verso un sud che non ha più spazio per ospitarli. Il servizio di Valeria Schroter.

    Clip - 16-09-2025

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    1) “Gaza brucia di fronte al suo mare, testimone della sua tragedia”. L’esercito israeliano ha lanciato l’offensiva di terra sulla principale città della striscia. L’esodo in mezzo alle bombe. Quasi 90 i morti da questa mattina. (Valeria Schroter) 2) Israele come Sparta. Mentre l’ONU stabilisce che quello in corso a Gaza è genocidio, Netanyahu ammette l’isolamento internazionale e dipinge un futuro di autarchia e guerra permanente. (Anna Foa, Eric Salerno) 3) Gli Stati Uniti continuano a colpire il Venezuela. Trump punta a rovesciare il regime di Maduro con la scusa della lotta al narcotraffico. (Alfredo Somoza) 4) Cinquant’anni fa l’indipendenza della Papua Nuova Guinea. Il paese oggi è vittima della maledizione della ricchezza e rischia di finire ostaggio di un nuovo braccio di ferro tra occidente e Cina. (Chawki Senouci) 5) Spagna, l’estrema destra torna a riunirsi a Madrid. Il primo passo verso una grande alleanza di tutte le destre europee. (Giulio Maria Piantadosi) 6) Rubrica Sportiva. Julia Paternain, la maratoneta uruguayana entra nella storia vincendo la prima medaglia ai mondiali di atletica per il paese sudamericano. (Luca Parena)

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Una Napoli sconosciuta in bianco e nero in “Sotto le nuvole” di Gianfranco Rosi

    Già vincitore di un Leone d’Oro per “Sacro Gra” nel 2013 e di un Orso d’Oro tre anni dopo alla Berlinale, Rosi riceve anche il Premio Speciale della Giuria di Venezia 82. In “Sotto le nuvole” l’esplorazione si sposta nella Napoli della circumvesuviana, in un bianco e nero inedito per la città dei mille colori, tra la terra che ogni tanto trema, sotterranei archeologici in mano alla camorra, la centrale dei Vigili del Fuoco, le fumarole dei Campi Flegrei e il Porto di Torre Annunziata con con una nave siriana che scarica grano ucraino. “È il mio primo film non politico” sostiene Rosi, eppure nel fuoricampo di “Sotto le nuvole” il non detto arriva anche in senso politico. L'intervista di Barbara Sorrentini

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