
“Sai a volte cosa faccio quando bombardano? Metto la musica al massimo del volume, chiudo la porta e mi metto a ballare. I miei genitori sono rannicchiati sotto una capanna di materassi e pensano che sia matta mentre io voglio solo evitare di sapere se sto per morire”. Fa uno strano effetto sentir parare di cose così macabre e tragiche con scioltezza e normalità, soprattutto da una ventunenne. Ma in Siria è così.
Nour vive a Idlib, città della parte nord occidentale del Paese, studia letteratura inglese all’università cittadina e dovrebbe concludere a breve il suo percorso di studi, se non fosse che la guerra mette a rischio anche questo.
“Amo l’inglese, infatti sono sempre stata tra le prime del mio corso – racconta Nour – e dopo tanti sacrifici ora la laurea, in questa orribile situazione, diventa un sogno. Il mio incubo è che nonostante sia arrivato il momento, andrà tutto all’aria. Tutto quello che ho studiato, tutto quello per cui migliaia di studenti hanno lavorato sarà inutile, perché queste aree liberate saranno cancellate da Assad. Ho molti sogni, ma sono quasi impossibili da raggiungere ormai”. Nella sua stanza, Nour come una qualunque ragazza della sua età, si perde tra pensieri e progetti: vorrebbe viaggiare all’estero e completare il suo studio, vorrebbe disegnare caricature su una strada di Londra o di Parigi, oppure vorrebbe diventare traduttrice. “Sono castelli in aria, non solo mi manca il sostegno finanziario ma non ho neanche un passaporto valido, che è molto costoso”.
Quando la situazione è tranquilla, la mattina Nour si alza e va all’università, un luogo importantissimo per lei. “Mi permette di incontrare nuovi amici e imparare un linguaggio universale che a sua volta mi apre le porte e mi fa scoprire altre culture. Tuttavia – spiega la ragazza – andare all’università non è così sicuro. Ho sopportato molti pericoli solo per il bene della conoscenza e dell’apprendimento e infatti, ho trascorso gli ultimi quattro anni a frequentare nonostante il pericolo dei raid aerei. Ricordo molte volte, mentre stavo facendo conferenze, lezioni o mentre ero in strada, in cui hanno iniziato il bombardamento, così, all’improvviso. In quei casi si corre a nascondersi nel posto sicuro più vicino. Si impara subito a capire dove è meglio ripararsi – dice – non sotto un ponte, non in un cortile di un palazzo, non sotto il bancone di un ambulante. E’ meglio entrare in una casa, in un sottoscala, nella bottega di un negoziante e ripararsi sotto qualcosa che non ti schiacci e che se crolla ti permetta di continuare a respirare. Tutte le volte che è capitato questo, è stato terribile. Se ti copri le orecchie per non sentire il fracasso delle bombe non puoi coprirti gli occhi e se ti copri gli occhi non puoi non sentire colpi e grida”.
Se non succede niente di grave, dopo lezione Nour torna a casa dove vive con i suoi genitori con cui parla di tutto. Racconta dell’università, degli amici, dei suoi progetti e i loro la supportano e la incoraggiano a non lasciarsi fermare. “In realtà, avevo pensato di fare un corso di formazione in infermieristica e protezione civile per le donne, molte ragazze sono volontarie in queste organizzazioni, ma dopo gli ultimi raid e ora che la situazione qui a Idlib è diventata ancora più tesa, ho abbandonato l’idea”.
Al pomeriggio, la ventunenne aiuta la madre a sistemare la casa e poi esce con gli amici. “Di solito li incontro nella zona universitaria e andiamo al caffè a chiacchierare, oppure andiamo al mercato o alla biblioteca rubando rari momenti di felicità da questa guerra mortale. A volte vado a trovare i miei amici sul posto di lavoro, li aiuto e osservo l’atmosfera. Ad esempio, vado spesso all’istituto Esraa e Nis che lavora per dare aiuti e forniture agli sfollati, agli orfani, alle vedove…”
Quando il sole tramonta, Nour torna a casa e cena con la sua famiglia anche se non c’è sempre molto da mettere in tavola. I soldi scarseggiano, lavoro ce n’è davvero poco e i negozi sono di giorno in giorno più vuoti. A Idlib ci sono migliaia di persone stipate in improvvisati campi profughi in condizioni precarie. Le riserve di cibo stanno per finire e non arrivano rifornimenti. Inoltre, la corrente c’è a singhiozzo e l’acqua scarseggia. Secondo le organizzazioni umanitarie, qui a Idlib rischia di scoppiare una crisi peggiore di quella di Aleppo.
“Non è una vita tranquilla la mia – racconta Nour con un filo di voce – Ho paura, sono sempre sotto stress e devo sforzarmi di non essere depressa. Cerco di cancellare pensieri raccapriccianti dalla mia testa ma ho capito che ricacciarli indietro come lacrime mi fa solo sentire peggio. Allora, siccome amo dipingere, ho deciso di convertirli in immagini, in disegni, in arte. La sera faccio questo, dipingo, anche se i miei strumenti non hanno nulla a che fare con quelli di un pittore vero, poiché non posso permettermeli. I miei genitori a malapena si possono permettere le cose essenziali per la nostra famiglia che tengono unita anima e corpo”.
Quando è stanca, Nour posa il pennello e si mette a dormire provando a sognare cose belle, le cose che dovrebbe sognare una ventunenne come le altre, amore, divertimento, gioco, prospettive future. Ma la realtà siriana per ora è questa.