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Come è cambiata la migrazione nel Mediterraneo? Intervista all’esperto Matteo Villa

Mar Mediterraneo

Gli sbarchi in Italia e in Europa sono ripresi dopo un periodo di allentamento legato alla pandemia da COVID-19 e in queste ultime settimane sembra che le rotte di migrazione verso l’Europa siano un po’ mutate. Ne abbiamo parlato a Prisma con Matteo Villa, ricercatore all’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI) ed esperto di migrazioni.

L’intervista di Lorenza Ghidini e Roberto Maggioni.

Che considerazioni fa sull’aumento degli sbarchi di questi ultimi giorni?

Non c’è nessuna correlazione tra gli sbarchi e la regolarizzazione annunciata dal governo. Lo sappiamo dalle regolarizzazioni passate e lo sappiamo anche in questo caso perché non c’è stato un forte aumento delle partenze e, soprattutto, non c’è stato un forte aumento della migrazione dopo l’annuncio delle nuovi regolarizzazioni, che includono parecchie regole per evitare che chi arrivi dopo l’8 marzo possa essere regolarizzato.
A maggio 2017 in Italia erano sbarcate quasi 20mila persone. Quest’anno a maggio ne sono sbarcate meno di 500. Le rotte di migrazione stanno cambiando. È vero che si arriva di più dalla Tunisia e meno dalla Libia in questo momento, ma è anche vero che le persone continuano a partire dalla Libia. Semplicemente non le vediamo perché ormai c’è un vuoto informativo sul Mediterraneo: in pochissimi lo osservano e in pochissimi, con l’emergenza COVID, danno le notizie. In realtà, soprattutto negli ultimi giorni, più di 500 persone sono partite con i barconi dalla Libia, una situazione abbastanza importante nel breve periodo, e che però non sono arrivate da noi o perché abbiamo perso le loro tracce o perché sono state riportate indietro in Libia o perché sono arrivate a Malta.

Come si svolge oggi la migrazione nel Mediterraneo? Chi c’è in questo momento?

Non c’è nessuno, perché le ONG hanno sospeso la loro attività anche a causa del COVID-19. L’obbligo di attendere il via libera allo sbarco in Italia dal 2018 è stato sempre più difficile. In media le ONG quando c’era Matteo Salvini al governo aspettavano più di dieci giorni dopo il salvataggio. Col secondo governo di Giuseppe Conte siamo scesi a 5 giorni, ma non siamo a zero. A questo si è aggiunto il problema COVID, con l’obbligo di restare in quarantena sulla nave. Le ONG hanno sospeso le attività, ma le partenze rispetto a marzo sono aumentate. Dalla Libia partono costantemente dei barconi di cui sappiamo qualcosa soltanto perché ci sono degli attivisti che ONG a terra, come Alarm Phone, che cerca di monitorare la situazione. Grazie a loro sappiamo che in queste ore centinaia di persone sono alla deriva e sappiamo anche che Malta e l’Italia, ma soprattutto si stanno organizzando con navi che prendono le persone e fanno dei respingimenti. Questa è una terribile novità: navi commerciali che prendono le persone e, invece di salvarle e farle arrivare in Europa, le riportano in Libia.

Possiamo spiegare meglio questa cosa? Di chi sono queste navi?

Sembra che siano navi cargo di armatori commerciali che si prestano a questa operazione. Gli indizi sono sempre di più e conosciamo anche l’esito di alcune di queste operazioni: ci sono proprio delle navi commerciali che si trovano vicino a Malta e che, grazie ad accordi impliciti col governo, si fanno carico di andare a salvare le persone.

Cosa intende per accordi impliciti?

Diciamo che sappiamo che ci sono stati degli accordi, ma non ne abbiamo mai visto la firma. Sappiamo grazie ad indagini giornalistiche che ci sono state delle intese e sappiamo che questa navi commerciali, che di solito non facevano salvataggi, sanno benissimo che non si possono prendere delle persone e riportarle in Libia. E soprattutto non si può fare quando queste persone non sono più neanche nella zona SAR della Libia, ma sono addirittura nelle zone SAR dell’Italia o di Malta, quindi ormai arrivati in Europa. Eppure questi cargo effettuano le operazioni di soccorso e si dirigono in Libia per far sbarcare lì le persone. È una cosa che va completamente contro il diritto internazionale e quando a farlo sono dei privati è ancora più difficile imbastire una causa civile e poi andare a giudizio perchè è sempre più difficile capire come fare ad esercitare il diritto internazionale contro privati che battono bandiere di comodo. È una situazione che si è fatta abbastanza frequente negli ultimi mesi e anche oggi c’è un cargo molto vicino a quello che sembra essere un gommone in avaria con a bordo 90 persone.

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    Carlo Rovelli, fisico teorico, è stato ospite oggi a Pubblica. Dieci anni fa, pochi giorni dopo le stragi di Parigi e del Batclan nelle quali furono uccise 130 persone, lanciò una «proposta per la Mesopotamia». Rovelli la illustrò a Radio Popolare: «l’Occidente - sosteneva - può continuare a bombardare (l’Isis, ndr), ma i bombardamenti, come ripetono i vertici militari, non portano a nulla. Nessuno ha voglia di invadere di nuovo la Mesopotamia, per riaprire il problema. Penso sia necessario parlare con lo Stato islamico. L’alternativa è la guerra senza fine». Dieci anni dopo, e in altri contesti, il senso della proposta di Rovelli resta intatto. Ne abbiamo parlato oggi con lui nel corso della trasmissione, insieme al suo ultimo libro «Sull'uguaglianza di tutte le cose. Lezioni americane». Nel testo (pubblicato da Adelphi, 2025) sono raccolte sei lezioni che Rovelli ha tenuto a Princeton (Stati Uniti) un anno fa, chiamato come fisico a raccontare ai filosofi il mondo dei fenomeni quantistici. Che cosa è accaduto negli ultimi dieci anni nella conocenza del mondo? «Ci siamo accorti sempre di più che le grandi teorie del XX secolo, scientifiche e fisica, funzionano incredibilmente bene», racconta Rovelli. «Lo sforzo ora è cercare di capire cosa implicano queste grandi teorie per la nostra comprensione del mondo. Il contenuto del mio libro è questo: che cosa ci dice sul mondo la grande rivoluzione culturale del XX secolo, quella dei quanti e della relatività». Buona lettura.

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