Approfondimenti

Che cosa è successo oggi? – Venerdì 24 aprile 2020

Ospedale Alzano Lombardo focolaio di alzano

Il racconto della giornata di venerdì 24 aprile 2020 attraverso le notizie principali del giornale radio delle 19.30, dall’analisi dei dati dell’epidemia di Vittorio Agnoletto ai chiarimenti sul recovery fund deciso in UE mentre l’Istituto Superiore della Sanità riconosce che l’epidemia in Lombardia sarebbe iniziata prima del mese di febbraio. Per la prima volta il 25 aprile non si potrà scendere in strada: l’appello ad uscire in balcone con lo smartphone. A Milano, a ridosso della fase 2, i contagi non scendono. E intanto sembra sempre più sicuro che non si potranno tenere concerti almeno fino al 30 settembre prossimo. Infine i grafici del contagio nelle elaborazioni di Luca Gattuso.

L’analisi di Vittorio Agnoletto sui dati dell’epidemia diffusi oggi

Le vittime del coronavirus oggi sono state 420, 44 meno di ieri. È il numero più basso dal 17 marzo. I nuovi positivi superano invece di nuovo quota 3.000.
Prosegue lo svuotamento dei reparti di degenza e delle terapie intensive: 800 ricoverati e 94 pazienti in rianimazione in meno.
In Lombardia sono stati superati i 13mila decessi totali. Oggi si contano 166 morti, 34 meno di ieri e 1100 nuovi casi, dato in crescita.
Accelera ancora Milano, che nella sua provincia ha segnato 412 nuovi positivi, 246 dei quali in città. La valutazione di Vittorio Agnoletto:

 

UE, cos’è il Recovery Fund?

(di Alessandro Principe)

Si chiama “fondo per la ripresa”, recovery fund. Il punto di partenza è che per rilanciare l’economia europea bisogna servirsi degli strumenti che già abbiamo, come il bilancio pluriennale dell’Unione, e poi creare qualcosa di nuovo, che aggiunga risorse. La Commissione propone di aggiungere al prossimo bilancio 2021-2027 un fondo temporaneo e mirato per la ripresa: il recovery fund. Dovrebbe essere dotato di 320 miliardi di euro, raccolti grazie all’emissione di obbligazioni comuni. La metà sarebbero distribuiti sotto forma di prestiti ai Paesi, l’altra metà andrebbe a programmi ‘ad hoc’ per i Paesi più colpiti dall’emergenza.
In linea di principio sono tutti d’accordo. Ma la spaccatura è sul tipo di finanziamenti che il fondo potrà dare. Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Grecia vogliono che si tratti di sovvenzioni. Come nel caso dei Fondi strutturali europei, che non vanno restituiti. I Paesi del Nord europa, con la Germania e l’Olanda, si oppongo e vogliono che il fondo dia dei prestiti. Gli stanziamenti a fondo perduto semmai possono restare nell’ordinario budget del bilancio.
La presidente della Commissione Von Der Leyen ha detto che ci sarà un mix tra le due soluzioni. Secondo punto su cui non c’è accordo: a quanto ammonterà il fondo? I 320 miliardi previsti da Bruxelles sono considerati troppo pochi dai Paesi mediterranei. Che rilanciano a 1.500 miliardi.
Terzo punto, cruciale. I tempi. Nel documento finale si concorda che l’attivazione del fondo debba essere “urgente”. Ma non sono stabilite date certe. Se ci fosse un collegamento con il bilancio dell’Unione l’urgenza sarebbe molto relativa: se non altro perché il nuovo bilancio parte dal 2021. In secondo luogo perché l’attivazione sarebbe più macchinosa e meno agile.
Resta il principio, l’idea di uno strumento del tutto inedito. Un passo avanti. Ma un passo. Le prossime settimane diranno se dal passo si arriverà a quello slancio necessario a fronteggiare una crisi tanto grave.

ISS: “In Lombardia l’epidemia era partita prima di febbraio”

(di Michele Migone)

Per la prima volta l’Istituto Superiore di Sanità ammette che il COVID-19 viaggia in Italia da tempo prima della scoppio dell’epidemia. “In Lombardia c’erano centinaia di casi già prima di febbraio” – ha spiegato Stefano Merler dell’Istituto Kesler. Per molti questa non è una novità. Ne avevano parlato ricerche scientifiche e inchieste giornalistiche. Ma la sede ufficiale in cui è stata detta rafforza l’idea che la storia italiana di questa pandemia debba essere ancora scandagliata a fondo. Già si sapeva che un numero anomalo di strane polmoniti era stato registrato dai medici di base in Val Seriana – che avevano chiesto l’intervento dell’ATS locale – e nella zona di Crema già tra la metà di dicembre e la metà di gennaio.
Si registrano polmoniti anomale anche in altre parti della Lombardia, ma Wuhan è lontana e le prime notizie sull’epidemia vengono fatte filtrare dalla Cina solo all’inizio di gennaio.
In Italia non c’è ancora allarme. Scatterà dal 22 febbraio, quando viene istituita la task force dal ministro Speranza. Qualcuno si occupa delle polmoniti anomale? In realtà, pare di no. Non risultano segnalazioni dalle Regioni, non comunque dalla Lombardia.
Il 30 gennaio la coppia di turisti cinesi risulta positiva, il 31 il governo dichiara l’emergenza sanitaria, ma si guarda alla Cina o ai cinesi, mentre il virus è già belle case italiane, arrivato da strade diverse. All’inizio di febbraio un medico di Castiglione d’Adda visita i suoi pazienti malati di polmonite. Segue il protocollo del ministero e per sapere se è COVID-19 chiede loro se sono stati in Cina. Gli anziani ridono. Ride anche il medico. Che altro possono fare? Poi a fine febbraio c’è il paziente Uno e l’epidemia scoppia con tutta la sua mortale potenza. Che forse sarebbe potuta essere meno devastante se non ci fosse stata una buona dose di impreparazione, sottovalutazione e di burocrazia.

Un 25 aprile sui balconi con lo smartphone

(di Lorenza Ghidini)

Dopo la Liberazione non è mai successo che il corteo del 25 aprile venisse cancellato. Anzi è stato proprio negli anni più difficili della nostra Storia che quello stare insieme, quel ritrovarsi ha avuto il senso più profondo. Gli anni delle stragi, del terrorismo, gli anni delle trame eversive che rimisero in discussione la democrazia riconquistata con la Resistenza. E chi non ricorda il ’94… continua a leggere

Milano, crescono i contagi mentre ci si prepara alla Fase 2

(di Alessandro Braga)

L’assunto principale, che sta alla base di tutto, è che se dal 4 maggio ci sarà una parziale riapertura, con un graduale ritorno a quella che ormai viene definita “nuova normalità“, bisogna arrivarci preparati, anche per scongiurare un, non impossibile, ritorno a restrizioni come quelle attuali. Certo che, per tenere in piedi il piano, è necessario partire da un nuovo concetto di mobilità, da cui tutto dipende.
La stima dell’assessore ai trasporti milanese Marco Granelli è che nel prossimo futuro sui mezzi pubblici cittadini potrà circolare circa un quarto delle persone che lo facevano prima dell’emergenza. E quindi, al di là delle misure di sicurezza da mettere in campo, ci sarà da ripensare profondamente a come ci si muoverà in città. Anche per evitare un ritorno massiccio all’utilizzo di mezzi privati, che porterebbe a un congestionamento senza precedenti della viabilità cittadina.
Via allora al potenziamento delle piste ciclabili, ma soprattutto un nuovo modo di vivere la città. A partire dagli spazi e dai tempi del lavoro, che si dovranno adeguare alle novità. E poi un ritorno alla vita di quartiere, dove si trova tutto e non c’è bisogno di muoversi per trovare negozi, cinema, ristoranti, socialità. In pratica, una trasformazione dei quartieri di Milano in più o meno piccole isole indipendenti.
Tutto questo però si potrà fare se i numeri del contagio a Milano cambieranno, ma al momento Milano continua a fare paura. Il sindaco per il secondo giorno consecutivo è tornato sul tema: “I numeri sono sballati, c’è troppa incertezza”. Quelli ufficiali parlano di 7.500 COVID positivi con tampone in città e oltre 17.500 nella Città metropolitana, lo 0,5% della popolazione. E poi ci sono quelli reali. Il doppio se si sommano i COVID presunti registrati nel database riempito dai medici di base. Ma anche questo dato è distante dalla realtà, perché non tutti i medici immettono o aggiornano i dati e non tutti i milanesi sintomatici si sono palesati. E poi ci sono le proiezioni, quelle che il sindaco evoca per chiedere alla Regione se davvero Milano è in sicurezza e che arrivano a stimare, al meglio, il contagio al 15% della popolazione.

Niente concerti almeno fino al 30 settembre

(di Andrea Cegna)

Concerti e live show: “Primi a chiudere e gli ultimi a riaprire, potrebbe essere il titolo di un film dell’orrore che purtroppo stiamo vivendo“. Lo dice ai nostri microfoni Maurizio Salvadori di Trident Music. Il mondo degli eventi guarda al futuro partendo dal 2021. “Dovrebbe uscire una dichiarazione a breve secondo cui fino al 30 settembre non si farà nulla” sostiene sempre il proprietario di Trident nell’intervista.
La musica, nella forma concerto, non può vivere senza l’assembramento e un po’ tutti gli attori del settore lo sostengono. Le ipotesi di concerti drive-in non viene nemmeno presa in considerazione come ipotesi. Così il tempo dell’attesa pare essere l’unica possibilità per concerti e grandi spettacoli. CONTINUA A LEGGERE.

UK, un documento del 2019 invitava a far scorte di mascherine

(di Daniele Fisichella)

Secondo il documento del 2019 una pandemia avrebbe causato decine di migliaia di morti e per questo venivano richieste misure preventive. È un documento che non cita espressamente il Coronavirus, ma che porta la firma del Consulente scientifico del Governo Sir Patrick Vallance, lo stesso che più volte è comparso al fianco del Primo Ministro per spiegare gli effetti del COVID-19 e del lockdown in Gran Bretagna. Vallance chiedeva dunque al Governo di procurarsi ingenti scorte di mascherine e altri materiali protettivi e organizzare un sistema ufficiale per tracciare i contagi. Questi proprio i punti sui quali le autorità britanniche sembrano essere più impreparate, con il Governo che è stato più volte criticato, anche dalla comunità scientifica, per essersi mosso in ritardo.
Il Governo ha risposto dicendo di aver agito prontamente in base anche alle informazioni accumulate negli anni passati, ma una fonte vicina al numero 10 di Downing Street ha fatto sapere che c’è grande frustrazione in questo momento – legata alla confusione su chi e come avrebbe dovuto mettere in atto un piano efficace per contrastare il virus anche a livello locale.

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

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    “Triplicati gli omicidi di minorenni” aveva detto a febbraio il ministero degli interni che annunciava il passaggio da 13 omicidi commessi da minori nel 2023 a 35 nel 2024. Così partiva una campagna mediatica (soprattutto di destra) sull’allarme “baby-killer” che arrivava dopo i provvedimenti contro i rave, contro le occupazioni nelle scuole, contro i giovani in generale, soprattutto se figli di stranieri. I dati però, come rivela uno studio pubblicato da Sistema Penale, erano sbagliati perché oggi il Ministero ci dice che gli omicidi commessi da minori erano 25 nel 2023 e 26 nel 2024. “Stiamo perdendo la lucidità necessaria per affrontare il tema e il discorso pubblico sulla sicurezza”, commenta Roberto Cornelli, docente di criminologia dell’Università degli Studi di Milano, che analizza la campagna mediatica: “è particolarmente grave che questi dati errati vengano divulgati da fonti ministeriali e se si parte da qua ovviamente si pensano politiche di emergenza, forme di controllo straordinario e anche un irrigidimento del sistema penale minorile che perde la sua valenza educativa”. In sostanza, ci dice il docente, stiamo rifacendo gli stessi errori di Stati Uniti e Francia: non si affronta il problema dai dati ma sulla base del discorso politico sul tema: “Siamo passati dalla narrativa dei giovani danneggiati dal Covid a una criminalizzazione soprattutto quando si tratta di giovani di seconda generazione, incrociando la dimensione giovanile e quella migratoria sotto il segno della sicurezza, è questo il tema di un certo modo di far politica oggi”. Ascolta l'intervista di Claudio Jampaglia e Cinzia Poli a Roberto Cornelli.

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