Approfondimenti

Che cosa è successo oggi? – Venerdì 15 maggio 2020

Fase 2 COVID

Il racconto della giornata di venerdì 15 maggio 2020 attraverso le notizie principali del giornale radio delle 19.30, dai dati dell’epidemia diffusi oggi all’attesa delle nuove direttive del governo per le riaperture del 18 maggio col fronte delle Regioni ormai spaccato. Spunta il caso dell’equiparazione del coronavirus all’infortunio sul lavoro, mentre a Marghera si è verificata un’esplosione nell’impianto chimico 3V Sigma. Addio al compositore Ezio Bosso. Infine i grafici del contagio nelle elaborazioni di Luca Gattuso.

I dati dell’epidemia diffusi oggi

Quasi cinquemila guariti in un giorno, cala ancora il numero di ricoverati, terapie intensive e isolamenti domiciliari. I dati di oggi della Protezione Civile sull’epidemia da coronavirus confermano il miglioramento della situazione in Italia. I nuovi casi censiti sono stati 789, i decessi 242.
Anche in Lombardia i dati sono in calo: 299 casi e 115 morti nelle ultime 24 ore. Migliora la situazione a Milano, che in queste ultime settimane è la provincia che ha avuto più nuovi casi: oggi ne ha registrati solo 66, 30 dei quali in città, numeri che ci riportano all’inizio di marzo. Complessivamente la Lombardia incide oggi per il 38% sul numero dei nuovi positivi e per quasi la metà, il 48%, su quello dei decessi. Dieci regioni hanno registrato meno di dieci casi oggi e ben sette (più la provincia di Bolzano) non hanno avuto morti: non erano mai state così tante. Dopo la Lombardia, per numero di nuovi casi, troviamo oggi il Piemonte, con 137 nuovi positivi, il Lazio con 73 e la Liguria con 65.

Fase 2, il fronte delle Regioni si spacca

(di Anna Bredice)

Arrivati all’appuntamento del 18 maggio, con una nuova fase di riaperture, il fronte delle Regioni si spacca. E si spacca proprio su quella promessa fatta dal governo e tanto voluta dai Presidenti di molte regioni e cioè che da lunedì potranno decidere con maggiore libertà e autonomia il sistema di riaperture. Questo prevede il decreto del Governo esposto durante la prima riunione di questa mattina tra governo e regioni, solo che poi nel corso della giornata, alcune di queste, la Lombardia in prima fila hanno chiesto regole uguali per tutte. Altre invece, e la novità sta nel fatto che tra queste ci sono anche Veneto e Friuli Venezia Giulia, chiedono che ogni Regione abbia la possibilità di estendere in maniera più larga le regole decise dal governo, non più ordinanze restrittive, ma per la prima volta estensive. Tutto in base naturalmente alla curva dei contagi, che in alcuni casi hanno numeri bassissimi, in altri no.
La Lombardia non vuole rimanere indietro, soprattutto se si tratta di restrizioni sul fronte delle attività economiche e commerciali, ma i colleghi di partito, governatori delle altre regioni del Nord, sono pronti a non seguirlo più. Nel pomeriggio le Regioni si sono sentite per scrivere un documento comune, il Consiglio dei Ministri che aveva già pronto il decreto si è fermato, e stasera ci sarà un nuovo incontro tra il governo e le regioni, solo dopo si arriverà al via libera del decreto che deve dare un quadro generale di riaperture, dal 18 apriranno bar, ristoranti, parrucchieri, negozi, ma solo dal 3 giugno si potrà lasciare la propria regione. Le linee guida devono stabilire le distanze, le norme di sicurezza, le sanzioni, ed infine aspetto molto importante, la responsabilità delle aziende per i contagi dei propri dipendenti.

Il caos del coronavirus come infortunio sul lavoro

(di Alessandro Principe)

Si sta parlando molto dei timori degli imprenditori sull’equiparazione del coronavirus all’infortunio sul lavoro. La questione è oggetto di una campagna da parte delle associazioni imprenditoriali che dicono: se rischiamo il processo, allora molti non riapriranno. E chiedono uno scudo giudiziario per non essere accusati in caso di infezione di un dipendente. Il tema nasce da due norme: un articolo del decreto Cura Italia e una circolare dell’Inail.
Il decreto del 17 marzo dice che il contagio verificatosi in occasione di lavoro deve essere trattato dall’Inail come infortunio a fini assicurativi. La circolare Inail chiarisce che la copertura è riconosciuta se la malattia è stata contratta durante il lavoro e l’onere di provarlo è a carico dell’assicurato, cioè il lavoratore. Cosa per niente facile da provare se l’azienda ha preso tutte le misure di sicurezza. E comunque, sempre a fini assicurativi. Questo è quello che c’è, nero su bianco. Nient’altro. Ma le imprese dicono: non è che poi il lavoratore ci fa causa? E magari essere condannati a risarcimenti o addirittura ad affrontare un processo penale? Di qui la richiesta dello scudo. Il fatto è che per portare il datore di lavoro a processo ci vuole la prova di aver contratto il virus sul lavoro. E poi, per arrivare alla condanna, ci vorrebbe la prova della violazione delle norme di sicurezza e igiene. Colpa o dolo. Solo in questi caso scatterebbero risarcimento e possibile illecito penale. Come del resto avviene in ogni infortunio. Perché allora questa sollevazione di Confindustria? Seguire tutte le disposizioni di sicurezza, tra Dpcm, Regioni, Inail, è complicato, dicono. Rischi di non rispettarne qualcuna senza saperlo. Questo è un problema. Chiaro che la presenza di uno scudo giudiziario taglia la testa al toro. Ma quanto ampio? Dovrebbe valere anche per chi non applica le misure di sicurezza in modo evidente? Così sarebbe un colpo di spugna preventivo.

Addio al compositore Ezio Bosso

Si è fatto conoscere per l’ottimismo gentile, il calore umano, la capacità di creare un legame con il pubblico. Tutte doti che esprimeva attraverso la musica e la divulgazione.
Aveva 48 anni Ezio Bosso, non aveva smesso di comporre, suonare il pianoforte, dirigere orchestre quando gli era stata diagnosticata una grave malattia degenerativa.
È morto ieri a Bologna.
Lo riascoltiamo in una delle interviste rilasciate alla trasmissione Cult di Radio Popolare nel 2016, poco prima della esibizione a San Remo che lo fece conoscere al grande pubblico.


 

Esplosione in un’azienda chimica a Marghera

Un’esplosione, poi l’incendio. Erano le dieci e quarto, questa mattina, quando un’alta colonna di fumo nero si è alzata dall’impianto chimico 3V Sigma di Marghera.
Due operai sono rimasti feriti, uno dei due è grave, ricoverato all’ospedale di Verona.
Le sirene di allarme per rischio chimico hanno suonato, il Comune di Venezia ha allertato i cittadini: state in casa, con le finestre chiuse.
Il rogo ha bruciato per ore, ancora adesso non è stato del tutto spento dalle decine di vigili del fuoco entrati in azione. La nube nera adesso si è dispersa, grazie anche al vento che l’ha portata verso il mare. Ora si aspettano i dati sull’inquinamento ambientale dell’Arpa.
In quell’impianto chimico da molto tempo c’è una vertenza aperta dai sindacati proprio sulle condizioni di sicurezza. “Un disastro annunciato”, denuncia il segretario dei Chimici Cgil di Venezia Davide Camuzzo:


 

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

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    Se ne parla solo quando c'è un suicidio, ma il tema della salute mentale negli istituti penitenziari va ben oltre i fatti di cronaca nera ed è un tema che investe chiunque abbia a che fare col carcere. Detenuti e detenute in primis, ma anche chi tra quelle mura ci lavora: educatori e educatrici, psicologi e psicologhe, agenti di polizia penitenziaria. Tra sovraffollamento, scarse condizioni igienico-sanitarie e politiche poco umane, si rischia di impazzire. Ne abbiamo parlato con il consigliere comunale di Milano Alessandro Giungi, il consigliere regionale lombardo Luca Paladini, il nuovo garante dei detenuti di Milano Luigi Pagano, col coordinatore del dipartimento di amministrazione penitenziaria della Fp-Cgil della Lombardia Andrea De Santo e con la coordinatrice di Antigone Lombardia Valeria Verdolini.

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