Approfondimenti

Che cosa è successo oggi? – Giovedì 17 settembre 2020

Crisi in Libia. Conte e Fayez al Serraj

Il racconto della giornata di giovedì 17 settembre 2020 attraverso le notizie principali del giornale radio delle 19.30, dai dati dell’epidemia diffusi oggi, alle considerazioni sui primi giorni di attività scolastica. Quanto dovrà impegnarsi l’Italia per sfruttare al meglio il Recovery Fund? La guerra in Libia è a un passo dalla fine, ma la partita si gioca sul piano della politica internazionale. In Germania stadi aperti con il 20% del pubblico. Infine, i grafici del contagio nelle elaborazioni di Luca Gattuso.

I dati odierni dell’epidemia e il nuovo rapporto Gimbe

Gli ultimi dati sulla diffusione del coronavirus in Italia. Sono 1585 i nuovi positivi oggi, circa 130 in più di ieri. 13 i morti comunicati nelle ultime 24 ore. Stabile il numero di tamponi: oltre 100mila quelli analizzati oggi, in linea col dato di ieri. In leggero aumento il numero ricoveri in ospedale e di quelli in terapia intensiva.

Oggi il Tar si è espresso su due ordinanze regionali impugnate dal governo. Il tribunale ha annullato quella della Sardegna che imponeva test Covid a chi entrava sull’isola. Mentre ha lasciato invariata quella del Piemonte sulla misurazione della temperatura a scuola. Secondo i giudici, “il provvedimento non sovverte quanto stabilito dallo Stato, ma lo integra”. 

Dicevamo, l’andamento della pandemia in Italia. Oggi è stato pubblicato il nuovo rapporto della fondazione Gimbe che osserva il trend settimanale. L’aumento dei casi è costante.

Nino Cartabellotta presidente della Fondazione sanitaria Gimbe:

La situazione scuole a tre giorni dalla ripartenza

(di Anna Bredice)

“Nessun altro lockdown per la scuola”. Appare ottimista Conte durante una visita in una scuola alla periferia di Roma, assicura che tutto pian piano si sta risolvendo, ma sulla vicenda banchi ad esempio non spende una parola in più in difesa di Arcuri, il minimo indispensabile per il Commissario che all’apertura di tutte le scuole ha dovuto ammettere che mancano ancora due milioni di banchi. Un gran lavoro da parte degli insegnanti in questi giorni, che il 24 e il 25 settembre manifesteranno e sciopereranno. Si tratta dei sindacati di base, che vogliono attirare l’attenzione sulla mancanza di docenti, ma sul numero c’è una specie di battaglia tra ministero e sindacati. La ministra Azzolina dice che i posti a tempo determinato, quindi coperti da supplenti saranno 130 mila, per i sindacati si arriverebbe invece a 200 mila. In ogni caso per ora per migliaia di classi ci sono orari ridotti, in attesa della copertura di tutte le ore di lezione. Altra questione che vede le regioni un po’ in ordine sparso sono le regole per il rientro a scuola se si è stati assenti. In Piemonte la Regione ha vinto il primo round con il governo sulla vicenda della febbre da misurare a scuole. Il Tar ha dato regione al Piemonte, quindi si continuerà a misurare la temperatura all’ingresso degli istituti, ci sono poi altri governatori che hanno deciso di permettere le autocertificazioni da parte dei genitori per assenze brevi, nel Lazio dopo i cinque giorni di assenza bisognerà portare il certificato medico ed è così anche per altre regioni.

Recovery Fund: su cosa punta l’Italia?

(di Michele Migone)

Ma il governo ha una strategia per modernizzare il paese attraverso i miliardi del Ricovery Fund? Manca poco meno di un mese all’appuntamento del 15 ottobre, quando dovranno essere presentati i progetti all’Europa, e sembra regnare ancora un po’ di confusione. È vero che Giuseppe Conte ha inviato alle Camere le linee guida e si è detto disposto a discuterne in Parlamento, ma il documento proposto a Camera e Senato é piuttosto vago. È anche vero che Palazzo Chigi ha raccolto dalle varie branche dell’esecutivo ben 557 possibili progetti da finanziare, ma alla fine sono troppi, disorganici e alcuni addirittura assurdi. Quali sono le priorità? Su cosa bisogna puntare per la svolta economica? Non ci sono ancora risposte. Tra il referendum e le regionali, tra le polemiche sulla scuola e le divisioni sul Mes non c’è spazio per la discussione sugli investimenti strategici. I sindacati hanno chiesto di vedere Conte, ma lui li ha indirizzati al ministro Patuanelli e allora Cgil Cisl e Uil hanno risposto :no, grazie. Il leader di Confindustria Bonomi ha intimato a Conte di non tenere fuori le imprese dalla partita, ma  finora è stato rimbalzato. Le parti sociali, per ora, non hanno quindi voce in capitolo. La ritrosia di Conte a discuterne è da far risalire a due motivi. Il primo è che così è lui a detenere le chiavi della cassaforte. Fatto che gli concede maggiore potere. Il secondo motivo è la poca coesione politica della sua maggioranza. Il felpato presidente del consiglio tende a nascondere la polvere sotto il tappeto. Ma così facendo, di fatto, il dibattito su quale direzione dovrebbe prendere il Paese, su quali priorità seguire, non esiste. Senza una visione politica, pero il Ricovery Fund rischia di essere già un’occasione perduta.

La fine della guerra in Libia è davvero all’orizzonte?

(di Emanuele Valenti)

Libia. La possibile uscita di scena del primo ministro del governo di Tripoli Al-Sarraj, annunciata la notte scorsa, rende ancora più imprevedibile il quadro del Paese nord-africano. Sulla carta quanto successo nell’ultimo mese potrebbe servire a mettere fine al conflitto libico, ma non sembra ancora essere arrivato il momento.

Ripercorriamo quest’ultimo periodo.

A fine agosto un cessate il fuoco tra le forze occidentali, che fanno capo a Tripoli, e quelle orientali, che si rifanno a Bengasi. Con una linea di questo cessate il fuoco che passa da Sirte, vitale per le esportazioni di petrolio, bloccate dalle scorso gennaio, con pesanti ricadute sull’economia.

Da inizio settembre le proteste di piazza, a Tripoli e a Bengasi, da parte della società civile, che chiede condizioni di vita migliori.

Nei giorni scorsi l’accordo di massima tra i due parlamenti su una road map che dovrebbe portare a una struttura unitaria dello stato.

Questa settimana, il quarto passaggio: le dimissioni del governo di Bengasi, e a seguire come dicevamo l’annuncio dell’imminente uscita di scena – a ottobre – anche di Al-Sarraj, da oltre 4 anni alla guida dell’esecutivo di Tripoli, riconosciuto dalle Nazioni Unite e di conseguenza referente della comunità internazionale.

In entrambi i casi ha pesato il malcontento della piazza, ma c’è sicuramente dell’altro.

Nelle scorse settimane, per esempio, Al-Sarraj aveva annunciato il licenziamento del suo ministro degli interni, Bashagha, l’uomo forte di Misurata. Che però alla fine è rimasto al suo posto.

Un ultimo passaggio, che ci porta alla cruciale dimensione internazionale. Nelle scorse ore Turchia e Russia – i due pesi massimi della crisi libica – hanno fatto sapere di essere vicinissime a un accordo per consolidare il cessate il fuoco del mese scorso e arrivare a una vera e propria tregua.

Manca però il passaggio più importante. L’apertura di un vero e proprio negoziato di pace, credibile e riconosciuto da tutti gli attori coinvolti. Non sembra ancora il momento. A marzo le Nazioni Unite avevano detto di voler ben due inviati per la Libia, uno proprio con compiti di mediazione. Sono passati sei mesi, e la carica è ancora scoperta.

In Germania gli stadi di calcio riaprono (parzialmente) al pubblico

(di Valerio Sforna)

La Budesliga, la massima serie del campionato tedesco di calcio, riapre i battenti, esattamente 84 giorni dal termine della stagione 2019-2020. E lo farà, finalmente, con i tifosi sugli spalti. La Ligue 1 francese è stato il primo campionato a sperimentare il ritorno dei tifosi allo stadio, a fine agosto, con i 5.000 del Matmut-Atlantique di Bordeaux a seguire il derby contro il Nantes. Seguendo questo esempio, il governo federale tedesco ha dato l’ok al ritorno del pubblico negli stadi, per un massimo del 20% della capienza totale. Si tratta di un test di 6 settimane e non si escludono eventuali modifiche in corso, a seconda dei contagi. Ma non per tutti i club andrà allo stesso modo: le squadre bavaresi, infatti, potrebbero dover aspettare ancora. L’accesso agli stadi sarà strettamente legato alla curva epidemiologica di ogni Land. Nel caso in cui l’incidenza media sui 7 giorni dovesse essere di 35 contagiati ogni 100.000 persone, il governo regionale non permetterà l’apertura dello stadio. E così le porte dell’Allianz Stadium di Monaco di Baviera resteranno chiuse per il big match inaugurale di domani contro lo Shalke 04, visto che attualmente in Baviera ci sono più di 40 positivi ogni 100.000 abitanti. Bayern a parte ci sono altre 17 squadre iscritte alla Budesliga. Lo stadio più capiente è il Westfalen Stadion di Dortmund, cattedrale giallonera del Borussia, con i suoi 81mila spettatori. Con lo stadio pieno per 1/5, il Borussia potrebbe comunque contare su circa 16mila sostenitori. Andrebbe peggio all’Union Berlino, una delle squadre della capitale, che gioca le partite in casa in uno stadio con 22mila posti a sedere e così solo in 4mila potranno andare a seguirla. La decisione di riaprire gli stadi ha comunque sollevato alcune critiche, visto che proprio nelle ultime 24 ore la Germania ha toccato uno dei picchi di contagi da Coronavirus, con 2.194 casi registrati. I maggiori dubbi riguardano proprio l’uscita dagli stadi, visto che mentre per l’entrata i tempi sono più larghi, il deflusso a fine partita potrebbe comportare inevitabilmente degli assembramenti. Il governo federale ha però assicurato di monitorare attentamente la situazione e ha detto di essere pronto a chiudere di nuovo le porte in caso di picchi improvvisi.

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

 

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