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Centrodestra, il problema è Berlusconi

Con una visita ai gazebo di Forza Italia nei quartieri di Baggio e Lorenteggio, Silvio Berlusconi apre ufficialmente la campagna elettorale per le elezioni amministrative di giugno a Milano.

Già, ma chi sarà il candidato Sindaco del centrodestra? È opinione di molti che l’ex Cavaliere stia aspettando il risultato delle primarie del centrosinistra, per scegliere lo sfidante più adatto. Il problema è che per candidarsi con Berlusconi non c’è la fila.

Resiste alle pressioni Paolo Del Debbio, il corteggiatissimo giornalista. Affonda invece il collega Alessandro Sallusti, sotto il peso di sondaggi molto poco lusinghieri (lo batterebbero sia Sala, che Balzani, che Majorino). Poco credibili gli altri nomi che periodicamente compaiono nelle indiscrezioni di stampa.

Un problema che Berlusconi, con gli alleati Matteo Salvini e Giorgia Meloni, sta incontrando anche in altre grandi città che si avviano al voto. Roma, in primis: ora il favorito dell’ex Cavaliere sembra essere Guido Bertolaso, ex capo della Protezione Civile, ma anche lui sembra non avere intenzione di candidarsi. Nel frattempo il PD di Matteo Renzi pare invece aver trovato in Roberto Giachetti l’uomo giusto, in grado di ricompattare il partito e giocarsi con qualche chance la poltrona di Sindaco.

Abbiamo chiesto un commento sull’impasse del centrodestra al professor Piero Ignazi, politologo dell’Università di Bologna.

A cosa è dovuta questa enorme difficoltà nel trovare i candidati per le prossime amministrative?

Il problema è Berlusconi. Un leader che ha dominato il centrodestra e la politica italiana per un ventennio e che ora non rappresenta più nulla. Quindi, non avendo avuto la capacità e l’intelligenza di lasciare già da tempo la leadership di questo schieramento, costituisce un elemento di freno e di blocco. Dunque – prosegue Ignazi – tutto l’elettorato di centrodestra, a parte le frange più estreme che seguono Salvini, attende di avere una leadership e una proposta per poter tornare a votare per quello schieramento. E’ una grande massa di elettori che rimane alla finestra. Alcuni vengono tentati dal Movimento 5 Stelle, quasi nessuno dal PD renziano – nonostante i fiumi di parole dette su questo – e la stragrande maggioranza è in attesa di una proposta che sia convincente.

Dunque sono dovute alla scarsa attrattività di Berlusconi anche le resistenze di quelli che lui vorrebbe candidare a sindaci? Parliamo di Paolo Del Debbio per Milano e Guido Bertolaso per Roma? Oppure sono restii perchè temono di perdere?

Berlusconi non è più un elemento di attrazione ma è un elemento che respinge. Non è certo un fattore di stimolo per altre figure che si possano avvicinare a quell’area – ragiona Piero Ignazi – Potrebbero semmai nascere componenti civiche che si rifanno al centrodestra. Ma il problema è sempre lui, Berlusconi, e il suo tentativo francamente un po’ patetico di rinverdire i fasti del passato. Con la sue presenza contribuisce invece a renderli sempre più cupi.

  • Autore articolo
    Lorenza Ghidini
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    Un consiglio per la pace a Gaza. Il "board" di Trump, un CdA che gestirà un business miliardario

    Si chiama “Board of Peace” e Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti, l’ha pensato come il grande consiglio che guiderà – sulla carta - la ricostruzione di Gaza. Il disegno immaginato da Trump non prevede l'intervento degli organismi internazionali che hanno retto la sovranità del diritto per decenni. Nel futuro di Gaza – almeno per ora – non sono previste presenze come le Nazioni Unite, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l'Organizzazione Mondiale del Commercio. Il "Board of Peace" richiama molto l’idea di un consiglio di amministrazione (un “board”, appunto), che dovrà gestire un affare economico e finanziario colossale, un consiglio che avrà Trump come presidente. Il piano Trump in 20 punti, al paragrafo 9 recita: "Questo organismo (Board of Peace, ndr) definirà il quadro di riferimento e gestirà i finanziamenti per la ricostruzione di Gaza". Gestirà i soldi, proprio come un CdA che si rispetti. E le logiche finiranno per essere quelle del business e non della convivenza internazionale; dell’interesse privato e non dell’interesse pubblico; dell’autoritarismo che oscura la democrazia. Raffaele Liguori ha intervistato Fabio Armao, docente di relazioni internazionali all’università di Torino. È autore, insieme a Davide Pellegrino, di “Distopia americana. L’impatto della presidenza Trump sul sistema politico americano” (Mimesis, in uscita).

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