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“Cattiva” di Rossella Milone

Rossella Milone - Cattiva

Rossella Milone
Cattiva

Einaudi, 2018
116 pagine

Benché suddiviso in ben 16 capitoli, Cattiva è più un racconto che un romanzo. Straordinario racconto, va subito detto, su un argomento per niente facile da trattare: il rapporto tra madre e neonato. Tra le poche narratrici italiane fresche di maternità, che abbiano affrontato l’argomento restando perlopiù a cavallo tra l’esperienza di vita e l’invenzione, questo di Rossella Milone è tra i migliori, forse il migliore in assoluto. Merito di un linguaggio immaginifico e strettamente ancorata alla realtà al tempo stesso, che per la cura e l’attenzione a ogni singola parola sembra avere radici nella pratica poetica. Linguaggio fresco benché calcolato al millimetro, musicale per varie ragioni, non ultima l’eco della lingua napoletana che risuona in ogni pagina. Nessuna concessione alla moda del dialetto di troppi romanzi d’oggi. Accanto alle parole in napoletano verace, usate con parsimonia, è la struttura della singola frase, e il suo particolare andamento, che rievocano quelle radici.

Siamo in un quartiere di Napoli a ridosso del vulcano. Pochi i fatti: un parto, la nascita di una neonata – solo verso la fine sapremo il suo nome come se il rapporto tra madre e figlia fosse innanzitutto tra due corpi – e poi il ritorno dalla clinica, pappe, pannolini e infiniti pianti di cui la madre inesperta non sa scoprire la ragione. Esaltazione perché quella nascita è una cosa grande, e paura di non farcela.

L’abisso di un’esperienza sconosciuta, fatta di interrogativi, sensi di colpa, ansie per l’insufficienza propria, del marito, dei genitori, della pediatra. Un universo che si dilata nelle ore nei giorni. Rossella Milone riesce a rendere con acutezza eccezionale gli impulsi più riposti di questo passaggio estremo nella vita di una donna, che coinvolge ogni fibra del proprio essere, fisico e mentale. Sono i rivolgimenti interiori, anche i più oscuri e contraddittori, a trovare inedita rappresentazione.

Mia figlia non lo sa afferrare quel libro, rivolge a Daniele uno sguardo lattiginoso, lui le sorride, lei non è appagata e si mette a piangere. Allora l’avvolgo in uno scialle, la stringo a me, le faccio sentire il mio odore. Lei si acquieta, si attacca al seno; il mio corpo la consola, ed è lì che porta anche me, nella mia origine atavica e informe – in una specie di magma.

Niente come una maternità fa scoprire a una donna, che fino a un momento prima si è pensata come un essere sociale, capace di plasmare i destini individuali e collettivi, quanto sia invece potente il rapporto con la natura. Le lune, quelle che sollevano le maree, le nove lune necessarie a completare la gravidanza. Le onde di dolore del parto, capaci di allargare le ossa pelviche per permettere la venuta al mondo del nascituro, come parte del cosmo. Grande la meraviglia della scoperta, ma il timore che ti possa al contempo cacciare indietro, facendoti regredire al magma primordiale. Perché da quella neonata non ti puoi allontanare, le sei indispensabile, la devi attaccare al seno ogni poche ore. Non c’è nemmeno il tempo di lavarti i capelli. E quando ti offrono qualche giorno di lavoro, in famiglia ti consigliano di rifiutare. Il tuo posto è lì. Mentre il lavoro culturale della protagonista, per cui ha studiato anni e di cui va orgogliosa, adesso non conta. Può sapere tutto della sua città, dei suoi monumenti e affreschi, avere cose salienti da dire a chi li vuole visitare, come sapeva fare fino a poche settimane prima, ora non è il momento, le dicono.

Se poi la bambina piange di continuo, e resta un mistero se abbia fame, o bisogno di un pannolino asciutto, o se soffra dei ricorrenti doloretti di pancia dei neonati, e se poi quel pianto di ripete, moltiplicandosi nei giorni e nelle notti, si può essere anche tentata da un gesto senza ritorno. Ed ecco nel bel mezzo del racconto il colpo di scena inaspettato che sembra prospettare una svolta. Un taglio a quella vita che alterna gli entusiasmi al quel logorio stressante che non dà pace. E la pace è proprio la cosa più agognata.

Un’idea, questa di Rossella Milone, da buona narratrice, in grado di dare uno scossone a chi legge prospettandogli scenari imprevisti. Si cambia allora radicalmente registro? Quale potrà essere il finale a questo punto? E l’autrice saprà essere all’altezza del resto della narrazione? O ci sarà un ritorno a ciò che pure ci aveva avvinto fino a poche pagine prima dell’imprevisto? Il rapido fluire della prosa, a volte contratta, a volte rallentata in un singolo episodio, rende la voce di un’autrice da subito riconoscibile.

Durante il parto, avvenuto con l’epidurale che cancella il dolore delle ultime doglie, era stata assistita tra gli altri, medico e ostetrica, da un’infermiera di grande umanità. Capace di consolazione verso la puerpera, con gesti e parole opportune, anche perché popolana: una vaiassa. Unico neo del libro, l’eccessiva insistenza sulla figura della vaiassa. Citata più volte fino alla fine, tale ripetizione getta specularmene un’ombra sulla protagonista, che rischia di apparire un membro poco attraente di quel ceto medio, che quanto ad alterigia pare uguale ad ogni latitudine del paese.

Rossella Milone - Cattiva
La copertina del libro di Rossella Milone
  • Autore articolo
    Bruna Miorelli
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    Una casa editrice di estrema destra si iscrive alla Fiera nazionale della Piccola e Media Editoria “Più libri, Più liberi”, organizzata dall’Associazione editori italiani. Alcuni intellettuali si chiedono se sia opportuno ospitare pensieri razzisti o apologie del nazismo e come spiega la filosofa e scrittrice Donatella Di Cesare, esperta internazionale di "negazionismo" (l'ultimo suo libro per Einaudi si intitola “Tecnofascismo”): “Non discutiamo la libertà di pensiero e di pubblicazione per una casa editrice, ma l’idea della Fiera intitolata Più libri, Più Liberi a cui chiediamo se è giusto offrire questa vetrina ulteriore, così emblematica e significativa, dove verranno esposti autori e tematiche che in altri paesi europei come la Germania non sono tollerate”. “In Italia c’è una soglia molto bassa di attenzione, forse perché i temi storici non vengono approfonditi e siamo ancora nella vulgata del rigurgito del passato che ritorna o di temi folcloristici da non prendere seriamente e secondo me è un elemento critico e una mancanza di vigilanza culturale ed etica”. Ascolta l'intervista di Claudio Jampaglia e Cinzia Poli.

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    C’è un tesoro in Italia, ambito da sempre, ed è il tesoro delle Assicurazioni Generali. Chi comanda a Trieste, comanda su un pezzo importante del paese. Per 70 anni il tesoro delle Generali è stato controllato da Mediobanca, che una volta era il salotto del capitalismo familiare italiano e oggi è una solida banca milanese. Nell’ultimo anno, grosso modo, due capitalisti nostrani, non si sa se anche coraggiosi, Francesco Gaetano Caltagirone, insieme a Francesco Milleri, hanno portato a termine il colpo del secolo: con un’operazione di scambio di azioni – e con il concorso esterno del MPS, fino a qualche mese fa banca di stato - hanno cacciato i vecchi azionisti dagli uffici di piazzetta Cuccia a Milano (Mediobanca) e al loro posto ci hanno messo se stessi più alcuni amici. In questo modo l’immobiliarista e editore Caltagirone, insiene al socio un po’ litigioso degli eredi Luxottica, hanno preso il controllo di Mediobanca. E lo hanno fatto con l’aiuto del MPS, banca pubblica privatizzanda. Preso il controllo di Mediobanca, i “nostri” Caltagirone&Soci hanno cominciato a vedere terra, la costa triestina, la casa mitteleuropea di Generali. Ora, su tutta questa operazione – sommariamente sintetizzata – qualcosa non ha funzionato. La Procura di Milano sta indagando per il mancato rispetto di alcune importanti formalità da codice penale: il “concerto” non previsto, il rispetto del “mercato” e delle autorità di controllo. Aspettiamo fiduciosi che la giustizia faccia il suo corso, mentre la politica rivendica i suoi meriti, giusti o sbagliati che siano. Pubblica oggi ha ospitato il giornalista e saggista Vittorio Malagutti (Domani) e il senatore del Pd Antonio Misiani.

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