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Caterina Barbieri: intervista con la nuova direttrice della Biennale Musica di Venezia

caterina barbieri

Abbiamo intervistato Caterina Barbieri pochi giorni dopo la sua nomina a direttrice della Biennale Musica di Venezia per il biennio 2025/2026. Compositrice e musicista tra le più innovative del panorama internazionale, è nata a Bologna nel 1990 e oggi vive a Berlino, ha al suo attivo otto album e collaborazioni con alcune delle più prestigiose istituzioni musicali mondiali.

La sua ricerca sonora, basata sulla musica elettroacustica e sull’utilizzo di sintetizzatori modulari, esplora il rapporto tra tecnologia e processo creativo, indagando stati alterati della coscienza ed esperienze percettive non ordinarie. Nel 2021 ha fondato l’etichetta indipendente light-years.

In questa conversazione, Barbieri ci racconta la sua visione per il futuro della Biennale Musica, il suo rapporto con la musica elettronica sperimentale e le sfide che l’attendono in questo nuovo ruolo.

RP: Partiamo da una domanda dovuta in questo momento, dopo la notizia della sua nomina: nel suo percorso di crescita personale, artistico e musicale, aveva mai immaginato o desiderato per sé un ruolo di questo tipo, uno sviluppo simile per la sua carriera?

Barbieri: Sì, sicuramente. Ritengo che questo invito da parte della Biennale Musica sia in linea con il mio percorso e risponda al mio desiderio di sviluppare un aspetto più curatoriale del mio lavoro, anche se la mia carriera resta principalmente artistica e musicale. Sono molto contenta di poter offrire il mio contributo nella programmazione di Biennale Musica.

RP: Dal suo punto di vista, quali sono le possibilità e i percorsi maggiormente interessanti, magari finora non particolarmente esplorati, che intende mettere in pratica assumendo questo ruolo?

Barbieri: Penso che la mia predecessora, Lucia Ronchetti, direttrice di Biennale Musica per il passato quadriennio, abbia già portato una grande innovazione all’interno della programmazione, creando numerosi punti di contatto tra la musica contemporanea più sperimentale e la musica elettronica, introducendo anche molto jazz e improvvisazione. Il mio percorso continuerà questo spirito di rinnovamento, portandolo forse ancora più oltre. Mi piacerebbe molto creare dialoghi tra la musica contemporanea più strumentale e quella elettronica, dando voce il più possibile al cambiamento e alla musica del presente.

RP: Leggevo delle sue interviste del passato in cui racconta di come, fin dall’inizio del suo percorso e dei suoi studi musicali, la musica contemporanea l’abbia sempre attratta, anche quando intorno a sé aveva suoni diversi e i suoi coetanei mostravano gusti differenti. Oggi, anche pensando al suo percorso di recording artist, che rapporto vede tra quella che possiamo considerare una musica elettronica di consumo e un approccio invece di ricerca sperimentale? Ritiene di aver trovato una collocazione che cerca di gettare ponti tra questi due ambiti?

Barbieri: In realtà non seguo molto la musica elettronica di consumo. Vengo dalla musica elettronica sperimentale di ricerca, quello è il mondo che conosco sicuramente meglio. Non sono particolarmente interessata a creare ponti con quel mondo.

RP: Leggevo, sempre rispetto a questi suoi primi passi, di come compositori come Luciano Berio l’avessero fin dall’inizio conquistata. Oggi ci sono dei musicisti contemporanei che, se lei fosse una ragazzina di 12 anni, potrebbero altrettanto catturare il suo interesse?

Barbieri: Sì, ce ne sono veramente tantissimi. Se parlassi di nomi specifici, ovviamente mi riferirei ai miei gusti personali. Grazie al mio lavoro viaggio molto per l’attività concertistica, quindi ho potuto entrare in contatto personalmente con tante figure, di diverse generazioni, che innovano la musica nel presente, ed è stato sempre molto bello poter avere questo contatto diretto. Faccio un esempio: un musicista come William Basinski, americano, che adesso ha già una sessantina d’anni, quindi non giovanissimo, però è stato un grande innovatore ed è ancora oggi attivo sia a livello discografico che come musicista. Ho avuto il piacere di fare un tour in Australia con lui e conoscere meglio il suo lavoro che, per esempio, è stato molto valorizzato e riscoperto negli ultimi anni e che, secondo me, crea dei ponti molto interessanti all’interno della musica elettronica, dialogando anche con il linguaggio della musica contemporanea più strumentale.

RP: Qual è per lei, nel suo approccio alla musica contemporanea di ricerca, il rapporto tra l’attività concertistica, l’esecuzione dal vivo delle sue composizioni, e il lavoro che invece fa in studio per la composizione e la registrazione?

Barbieri: Il live è una parte molto essenziale della mia ricerca. Devo dire che spesso viene prima quell’aspetto: la possibilità di poter eseguire dal vivo i miei brani è molto importante perché vedo il concerto dal vivo come una pratica rivitalizzante, quasi come se il concerto fosse un’occasione per sviluppare il pensiero compositivo, come un organismo vivente che si sviluppa, cresce, respira, e io con lui. Quindi è una parte molto vitale, essenziale della mia ricerca. Di solito, quando compongo nuove musiche, cerco di eseguirle dal vivo e in questo processo di condivisione e restituzione con il pubblico la composizione continua a svilupparsi e piano piano a cristallizzarsi in una forma più definitiva, che poi vado a registrare in studio. Quindi la registrazione è una delle tante potenziali forme che questa musica viva può esprimere, ma è solo una parte. Vivo in qualche modo con dolore il momento della registrazione, perché mi trovo a dover accettare questo formato “morto” dell’incisione a fronte di un’esperienza dal vivo che è molto più stratificata, ricca e diversa.

RP: All’arrivo della notizia del ruolo che le è stato assegnato dalla Biennale, uno dei commenti più ricorrenti – evidentemente per il modo in cui si parla di queste cose oggi in Italia, forse con qualche anno di ritardo rispetto ad altri Paesi – è stato quello di sottolineare che era stata scelta “una donna giovane”. Immagino che quando si è quella donna giovane, una persona con un nome, un cognome e una propria storia, il fatto di incarnare anche quello che possiamo considerare un simbolo non sia una cosa scontata. Dal suo punto di vista, sente una responsabilità ulteriore nell’accettare questo ruolo?

Barbieri: Intanto vorrei ringraziarla per la sensibilità con cui ha formulato questa domanda, l’apprezzo davvero. Non è scontato, perché è la domanda più ricorrente, però viene anche espressa in maniera a volte molto diretta, quasi fosse la cosa più naturale del mondo. In realtà io non mi sento particolarmente giovane – nel senso che sì, sono giovane, ma sono poi “nel mezzo del cammin di nostra vita”, quindi non sono neanche più giovanissima. Però, come diceva lei, magari in Italia la cosa che sorprende maggiormente è proprio il dare spazio a una persona giovane, a una donna con idee forti, e l’aspetto di sorpresa lo comprendo perché l’Italia è un Paese che da questo punto di vista è un po’ più conservatore. Penso che sia un’occasione bellissima per rappresentare questa voce anche femminile e, per rispondere più direttamente alla sua domanda, sì, è una grandissima responsabilità. Spero di poter dare spazio, credito e riconoscimento a mia volta a voci femminili nel mondo della musica contemporanea. Riconoscimenti che non sono sempre scontati, sia per quanto riguarda figure più pionieristiche di compositrici che hanno aperto la strada all’innovazione, sia per donne invece a me contemporanee, colleghe che magari faticano di più a ricevere la giusta attenzione.

  • Autore articolo
    Niccolò Vecchia
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    L'abbiamo scoperto con l'EP "Somewhere only we go" e oggi a Volume abbiamo avuto modo di conoscere meglio la storia di questo cantautore nigeriano, che si è poi formato musicalmente in Ghana: "Nel corso degli anni le nostre musiche si sono fuse: l'highlife ghanese, il palm-wine, il folk di Kumasi, il suono contemporaneo della chitarra. Ho potuto unire questi due mondi, mescolandoli con le radio occidentali che ascoltavo da ragazzo". Il risultato è un folk pop pieno di anima e di profondità: "Il mio obiettivo non è solo una carriera internazionale, ma costruire qualcosa in Africa. Voglio creare una struttura che funzioni per artisti come me, gente con una chitarra o un tamburo, artisti contemporanei che non hanno modo di raggiungere il loro pubblico". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Tommy WA.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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