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Black Lives Matter sotto accusa

DeRay Mckesson è stato in questi anni uno dei protagonisti più visibili di Black Lives Matter, il movimento che, a partire dal 2013, dall’assassinio di Trayvon Martin, ha guidato le proteste contro la violenza della polizia e il pregiudizio.

Mckesson è stato arrestato domenica, a Baton Rouge, Louisiana, insieme a un altro centinaio di persone che protestavano per la morte di Alton Sterling, l’afro-americano ammazzato da due poliziotti la scorsa settimana. L’accusa è stata quella di aver bloccato uno spazio pubblico. Poche ore dopo, liberato grazie a una cauzione, Mckesson ha detto che la polizia della Lousiana vuole intimidire i dimostranti; fargli paura, perché interrompano le proteste.

L’arresto di Mckesson è solo uno dei segnali che il clima politico, per Black Lives Matter, si sta facendo difficile. Settori della società e della politica americana, quelli repubblicani e dell’America conservatrice, considerano il movimento politicamente responsabile della morte dei cinque agenti di polizia di Dallas. Avrebbe creato, con le continue accuse alla polizia, il contesto culturale entro cui gente come Micah Johnson, l’omicida di Dallas, ha scelto di agire.

L’ultimo a lanciare l’accusa, in ordine di tempo, è stato l’ex sindaco di New York City, Rudy Giuliani. Parlando a “Face The Nation”, la trasmissione di CBS, Giuliani ha detto che Black Lives Matter è un gruppo  “naturalmente razzista“. “Le vite dei neri contano – ha detto Giuliani – ma contano anche quelle dei bianchi, degli asiatici e degli ispanici”. Giuliani ha aggiunto un elemento: “Soltanto l’1 per cento dei neri muore per l’intervento della polizia. L’altro 99 per cento soccombe per mano di altri afro-americani“.

Non si sa dove Giuliani abbia tratto questi numeri. Ma il suo intervento è comunque indicativo. Black Lives Matter è sotto attacco e sta attraversando, proprio in queste ore, la crisi più profonda dalla sua nascita. Ha incominciato, subito dopo i fatti di Dallas, Joe Walsh, ex deputato repubblicano dell’Illinois, oggi conduttore di uno show radiofonico. In un tweet, poi cancellato, Walsh ha scritto: “Questa è una guerra. Attento Obama. Attenti Black Lives Matter. L’America vera vi sta per ritenere responsabili”. Poco dopo è stata la volte di “Drudge Report”, aggregatore di notizie con il gusto del titolo forte e della provocazione (spesso di taglio reazionario). “Black Lives ammazza 4 poliziotti”, ha scritto in un titolo “Drudge”.

Da allora, il fiume di accuse e indignazione ha dilagato; con il Texas, lo Stato dove si è svolta la strage di agenti, al centro del dibattito. Bill Zedler, un deputato repubblicano, ha tritato: “Chiaramente, la retorica di Black Lives Matter ha incoraggiato il cecchino che ha ucciso gli agenti di Dallas“. Il vice governatore dello Stato, Dan Patrick, un altro repubblicano, ha esplicitamente accusato Black Lives Matter per aver creato le condizioni di quanto successo: “Biasimo le proteste precedenti di Black Lives Matter”, ha detto.

Quanto successo a Dallas è devastante per il nostro lavoro“, ammette ora Jedidiah Brown, un pastore di Chicago emerso nell’ultimo anno come uno dei portavoce più visibili del movimento. Il fatto è che i fatti di Dallas riportano in auge una serie di dubbi e obiezioni che sin dall’inizio Black Lives Matter aveva suscitato – anche all’interno della comunità afro-americana. Già il nome era stato giudicato da alcuni come una prova di suprematismo, non differente da quello della destra radicale bianca. E poi ci sono le tattiche usate: interruzione dei discorsi dei politici, occupazione delle strade e blocco del traffico, canzoni e slogan spesso particolarmente polemici. Sono tattiche ampiamente diffuse nei gruppi per i diritti civili degli anni Sessanta, che oggi come ieri la destra americana stigmatizza e accusa di fomentare violenza.

Cè poi il tema della struttura del movimento. Black Lives Matter non ha una struttura centralizzata e una leadership definita. Ci sono stati dei fondatori – Alicia Garza, Patrisse Cullors e Opal Tometi – e ancora oggi esistono figure di riferimento e una trentina di sedi dislocate in tutta l’America. Ma non si tratta di un partito, con un programma e degli obiettivi definiti. Questo ha portato i leader del movimento a rifiutare ogni responsabilità nelle azioni di chi in questi anni ha preso parte alle manifestazioni. Ma ha anche portato settori della politica USA ad accusare Black Lives Matter di ambiguità, di rifiuto di assumersi le responsabilità delle sue prese di posizione.

C’è del resto un tema che spiega molto del fastidio e anche dell’indignazione che questo gruppo ha, in pochi anni di vita, sollevato. A differenza della leadership afro-americana nata alla politica negli anni Sessanta, nella stagione dei diritti civili – per esempio il reverendo Al Sharpton o Jesse Jackson – i giovani leader di Black Lives Matter non hanno delegato i bianchi a rappresentarli nella battaglia per i diritti. Rispetto ai leader del passato, sono molto più autonomi dalla politica, più consapevoli delle loro richieste, dei loro diritti, portati a oltrepassare la politica e le stesse strutture tradizionali del potere afro-americano attraverso un appello diretto all’opinione pubblica, attraverso i social media.

Black Lives Matter è, insomma, il movimento che ha accompagnato naturalmente la presidenza di Barack Obama. E’ il movimento frutto di quella liberazione di energia che l’elezione del primo presidente nero alla Casa Bianca ha suscitato; è il movimento che dà ai neri il senso delle nuove possibilità; che mostra che subordinazione e minorità non sono inevitabili –  proprio come l’elezione di Obama ha mostrato. In questo modo, grazie proprio alla sua indipendenza e alla rivendicazione ostinata dei diritti, Black Lives Matter ha potuto criticare Obama, accusato di eccessiva prudenza, di perseguire una politica razziale troppo subordinata ai vecchi schemi e interessi.

E’ grazie a questa aggressività e novità che Black Lives Matter è diventato uno dei protagonisti della scena politica americana degli ultimi anni. E’ questa novità che i fatti di Dallas mettono in discussione, aprendo per il movimento stesso una fase completamente nuova e più incerta.

 

  • Autore articolo
    Roberto Festa
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    Paolo Bergamaschi, già Consigliere Politico Commissione Esteri Parlamento Europeo, analizza lo scontro Europa-Russia, tra minacce e timidi segnali di dialogo. Francesco Vignarca, ricercatore e analista della Rete Pace e Disarmo, racconta l'impatto del piano di riarmo sulla politica dell'Unione, trainato dall'industria e soprattutto dalla finanza. Le mobilitazioni dei lavoratori dell'Ilva non si fermeranno finché i patti non saranno rispettati, perché nessuno comprerà gli stabilimenti se non ci saranno prima degli interventi, come ci spiega Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia della Fiom-Cgil. Giulia Riva giornalista e nostra collaboratrice racconta la giornata internazionale delle persone con disabilità a partire dai dati sul lavoro dove le donne con disabilità sono ancora più penalizzate degli uomini (mentre in Lombardia le aziende preferiscono pagare 82 milioni di multe che assumere persone dalle categorie protette) e poi da atleta paralimpica lancia una sfida alla città di Milano che il lascito delle Olimpiadi invernali in partenza a febbraio sia almeno concretamente utile.

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