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Bi-parolismo e flaconi in piazza, la puntata di “Guarda che Lune” di lunedì 12 dicembre

Mentre fioccano le esecuzioni contro semplici oppositori, in Iran i manifestanti “hackerano” le affissioni scrivendoci sopra i propri messaggi. Ha avuto grande diffusione sui social un video nel quale un manifestante ha annunciato lo sciopero della scorsa settimana scrivendo con lo spray le date su un grande cartellone pubblicitario in Mirdamad Boulevard a Teheran e poi firmando il messaggio scrivendo “Mahsa Amini per la libertà”. Un’altra immagine sui social mostra un cartello pubblicitario che chiede “quali sono i tuoi piani?” e qualcuno con lo spray aveva risposto scrivendo “Rivoluzione”. In Cina i fogli bianchi tenuti in mano da chi protesta sono una forma estrema di silenzio contro la censura da tempo  che seguono altri linguaggi raffinati: visto che non si poteva commemorare il massacro di Piazza Tienammen del 4 giugno 1989, su internet era usata la data 35 maggio, poi proibita anche questa. Così come era stato bandito un pittogramma che sembrava un carro armato che passa su un uomo. Di recente, per parlare del movimento Me Too, altra cosa proibita in Cina, gli utenti hanno utilizzato le emoìj con il riso e il coniglio che si leggono mi e tu. Ora però gli slogan sono non più proteste locali per singoli problemi ma sempre più espliciti contro Xi Jinping – come scrive anche Simone Pieranni sul Manifesto  – e questo sorprende e mette a dura prova i meccanismi di sorveglianza e repressione: senza una società civile autonoma le proteste circolano in modo disordinato casuale, disorganizzato, eppure continuano a ideare nuovi modi per farsi sentire e, fatto nuovo, non sembrano avere troppa paura di mostrarsi intransigenti .

Citiamo anche la doppia bandiera ai mondiali, quella della Palestina che accompagna le vittorie di molte squadre arabe, prima di tutte quella del Marocco. Di cosa si occupano i media? Questa campagna del Guardian (australiano) lo spiega bene e offre un buono spunto a noi che ci chiamiamo “popolare”. In Francia Bolloré con la sua Vivendi sta cercando di acquisire il principale concorrente il gruppo Lagardère con possibile conseguenze ben oltre le quote di mercato che sono l’unica cosa che sembra preoccupare la Commissione europea, ma come ricorda proprio il Guardian (quello inglese): “l’informazione è un bene pubblico, e quindi non riducibile alla sola quota di mercato”. In Italia, l’operazione di “bi-parolismo” più sottile tra quelle in atto è quella che chiama occupabili i poveri che recepiscono il reddito di cittadinanza, sottolineando così la potenzialità, la possibilità, per camuffare la novità semplice e amara: senza più il sostegno dello stato il problema del lavoro ripassa nelle mani del singolo individuo… e, visto che può farlo, se non si occupa è anche un po’ colpa sua. E poi in occupabile c’è una sfumatura raggelante: la persona diventa una materia passiva, non un individuo, è come la tenda avvolgibile o il tettuccio apribile. Insomma non rompa e accetti la paga da fame. Un paio di settimane fa abbiamo raccontato la cosiddetta Gentilissima rivolta, quella agitata sui social da anonimi precari della comunicazione e delle agenzie di pubblicità che hanno denunciato stage male retribuiti, i weekend di lavoro, i trattamenti brutali… adesso sui loro social tutto tace, chissà se la protesta è rientrata. Certo non scompaiono i problemi, lo stress, la precarietà, il burnout, gli orari di lavoro eccessivi.

Con curioso tempismo è appena uscito uno spot firmato da Heineken che invita gli impiegati a non attardarsi sui luoghi di lavoro e andare a bersi una birra quando arrivano le imprese di pulizie. Il che ci dimostra da un lato che le aziende sanno benissimo quello che stanno facendo ai lavoratori anzi lo ammettono e dall’altro – sono malizioso? – preparano una difesa, si portano avanti…Un’agenzia internazionale di pubblicità, uno dei gruppi più grandi, la francese Publicis, celebra il Natale con uno video agrodolce che parla del cancro da papilloma virus malattia del CEO Arthur Sadoun (#link11) promuovendo la prevenzione. Solo un esempio, per dire di come festeggiarsi e basta, celebrarsi e basta, venga ritenuto in tutto il mondo ormai impraticabile. Milano in questo senso sembra molto poco innovativa, anzi quasi un esempio da non imitare (come dice il sindaco di Bologna, ad esempio, sui prezzi immobiliari che per altro condannano la città a perdere molte posizioni nella classifica del Sole24Ore sulla qualità della vita nelle città). Anche per gli alberi di Natale il Comune affida ai privati una campagna che alla fine sembra regalargli vetrine in cambio di finti temi e festeggiamenti per tutti e tutte, con Veralab che offre l’abete in Duomo, costato 700 mila euro: un marchio che partendo dai social ha costruito un autentico fenomeno di marketing e ha una sua politica di responsabilità sociale importante. Ecco i flaconi in piazza sono poco calorosi e c’entrano poco con la responsabilità e quel mettere in comune che dopo la pandemia sembra inevitabile.

  • Autore articolo
    Claudio Jampaglia
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    Il Maestro, caduta e rinascita di un ex divo del tennis nella Roma degli anni ‘80

    Raul Gatti è un ex campione del tennis caduto in disgrazia, alcolista e disoccupato, interpretato da Pierfrancesco Favino nel film Il Maestro: “Ho seguito il tennis fin da ragazzo e mi sono subito affezionato a questo personaggio perdente, il più fallito che ho interpretato nella mia vita. Perché anche quelli che ho rappresentato in passato, per quanto fossero decaduti, avevano comunque un atteggiamento da vincenti”. Siamo negli anni ‘80 e Gatti viene assoldato per allenare un giovanissima promessa, Felice Milella, un ragazzino di 13 anni con i numeri per partecipare ai match più prestigiosi. Il regista Andrea Di Stefano aveva questo progetto nel cassetto molto prima che il tennis tornasse ad essere uno sport di moda: “Ho scritto questa sceneggiatura nel 2006, l’ho depositata e abbiamo le prove – ironizza il regista. Doveva essere il mio primo lungometraggio, prima ancora di realizzare L’ultima notte di Amore, con Pierfrancesco Favino, a cui avevo già pensato allora per questo personaggio di divo decaduto”. L'intervista di Barbara Sorrentini al regista Andrea Di Stefano e a Pierfrancesco Favino.

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