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Belgio, dove i comunisti vincono le elezioni

Il Partito del Lavoro del Belgio, o PTB, esiste dagli anni 60 ed è nato come partito maoista. Ancora oggi, la dottrina marxista sulla produzione della ricchezza è alla base della sua azione politica.  Alice Bernard, capogruppo del PTB al parlamento federale, lo rivendica pienamente:

“Ovviamente siamo nel 21esimo secolo e non siamo organizzati come 100 o 150 anni fa. È per questo che ci definiamo come un partito del nostro tempo. Un partito marxista moderno, un partito comunista del 21esimo secolo”.

In controtendenza con altri paesi come l’Italia, dove la sinistra comunista è praticamente scomparsa, il PTB registra dalle municipali di fine 2018 degli ottimi risultati e il 26 maggio scorso, oltre ad aver mandato un europarlamentare a Bruxelles, ha realizzato un exploit, diventando il quinto partito del Belgio e il quarto nella regione francofona:

“Avevamo 8 rappresentanti tra parlamento federale e regionali e oggi ne abbiamo 43. In Belgio è stato un momento di intensissimi dibattiti a livello della popolazione e quello che noi abbiamo fatto è stato soprattutto partire dai bisogni delle persone. Ci siamo davvero presi il tempo di essere il più vicini possibile alle persone. Perché la politica non è solo le elezioni, andare a votare ogni cinque anni e poi chi si è visto si è visto. No, noi siamo sempre al fianco della popolazione. Nei quartieri, nelle aziende… Ci battiamo con loro. Che sia una lotta per gli stipendi, per il prezzo del parcheggio o per tenere una piscina aperta nel quartiere. Tutte queste lotte le combattiamo con le persone.

Questo da una parte, ma dall’altra va detto che ci troviamo di fronte a una popolazione che si illude sempre meno che i politici tradizionali, soprattutto i socialdemocratici, possano davvero rispondere ai loro problemi. E quindi cercano una soluzione un po’ più radicale. Le persone che vogliono un cambiamento concreto ed esprimere la loro rabbia contro questi politici, hanno votato per noi. Se vogliamo  assicurare una rivoluzione sociale ma anche climatica, bisogna essere molto vicini alla realtà, ad esempio riducendo l’IVA sulle bollette dell’energia.”

Il programma del PTB propone anche di lanciare un grande piano di rinnovamento urbano, per ridurre la disoccupazione migliorando la resa ambientale delle abitazioni, o di limitare lo stipendio dei parlamentari a 2000€ al mese, a  cominciare dai loro. La proposta di aumentare le pensioni a 1500€ al mese è stata ripresa da tutti gli altri partiti durante la campagna elettorale, e non solo:

“Siamo riusciti a pesare sul dibattito politico anche sul tema della casa, chiedendo che i comuni abbiano almeno il 10% di case popolari o ad affitti moderati, o imponendo il dibattito sulla gratuità dei mezzi pubblici. Sono tutti punti che siamo riusciti a mettere all’agenda del dibattito elettorale ed è stata una cosa positiva, perché dall’altro lato le forze di destra come i nazionalisti, avrebbero voluto parlare di immigrazione e del separatismo tra valloni e fiamminghi, cercando di dividere le persone. Ma non ha funzionato, perché noi siamo riusciti a partire dalle preoccupazioni più immediate della popolazione.

Non vuol dire che il problema non esiste, eh? In Belgio si dibatte molto della problematica dell’immigrazione, dell’accoglienza dei rifugiati, eccetera. Ma se la sinistra non è in grado di far capire ai lavoratori che il nemico è la finanza, e non il vicino immigrato, in modo costruttivo, allora le persone andranno verso l’estrema destra. Lottare concretamente per il lavoro, per la vita di ogni giorno, per la casa… Sono tutte battaglie davvero cruciali per le persone. Come quello per la transizione ecologica. E se non ce ne occupiamo noi, sarà l’estrema destra ad appropriarsene.”

 

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  • Autore articolo
    Luisa Nannipieri
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    Gran Bretagna e Germania, i grandi malati d'Europa. Il primo ministro britannico Starmer e il cancelliere tedesco Merz sono entrambi proiettati in una rincorsa della destra estrema. Il laburista britannico Starmer, due settimane fa: «restauriamo ordine e controllo», titolo di un documento presentato alla Camera dei Comuni. Il democristiano tedesco Merz: ci vogliono «controlli ai confini e respingimenti» perchè «l’immigrazione ha un impatto sul paesaggio urbano». Proprio così. Germania e Gran Bretagna, due potenze economiche mondiali: la Germania (80 milioni di abitanti) con il terzo pil del mondo (dopo Stati Uniti e Cina); il Regno Unito (con 60 milioni di abitanti) con il sesto pil mondiale (dopo la Germania c’è il Giappone e l’India e poi il Regno Unito). La “malattia” (la rincorsa ad essere a volte più a destra delle destre) rischia di cambiare i connotati a tradizioni politiche europee centenarie: come il laburismo britannico, il popolarismo democristiano tedesco insieme alla socialdemocrazia, sempre in Germania. Pesa, inoltre, un discorso pubblico sempre più contaminato da un lessico guerresco. Che danni può provocare questa “malattia” in due paesi fondamentali del continente europeo? Pubblica ha ospitato la storica Marzia Maccaferri (Queen Mary, University of London) e il giornalista Michael Braun (corrispondente da Roma del berlinese Tageszeitung).

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    Politici, industriali e finanzieri sono concordi nel sostenere la strada del riarmo e della militarizzazione europea: per i finanzieri si tratta di far fruttare i propri fondi rapidamente e in maniera sicura, per gli industriali idem, con fortissime iniezioni di denaro pubblico, non a caso anche quest’anno hanno fatto il record di vendite come registra il Sipri di Stoccolma il più autorevole istituto di ricerca sulla spesa militare nel mondo. Il problema, spiega Francesco Vignarca, portavoce della Rete Pace Disarmo, ricercatore e analista (tra i curatori del libro Europa a mano armata curato con Sbilanciamoci) è che così vince il discorso di guerra. Banalizzante, propagandistico e pericoloso perché sequestra la democrazia: “Il complesso militare industriale ha un pensiero medio lungo strategico. Stanno già intervenendo per togliere le leggi sulla limitazione alla vendita di armi, perché sanno che dovranno vendere questa sovraproduzione da qualche parte, così come fanno entrare capitali esteri nella nostra industria, come i sauditi in Leonardo, perché non siamo noi gli acquirenti di queste armi”. Ascolta l'intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia.

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    Trattandosi di un film horror si può raccontare poco. Ferine di Andrea Corsini si sviluppa intorno ad Irene, una donna che desidera una figlia ma nello stesso tempo è costretta a difendersi da chi la ostacola. In seguito a un incidente, la donna va in cerca di sangue per sopravvivere. Il tutto si svolge in un paesaggio vuoto e deprimente: “Cercavo una provincia in cui si respirasse solitudine e isolamento, come la villa di architettura brutalista e il centro commerciale esternamente vuoto. Il cemento da una parte e dall’altra le zone boschive, in cui si scatena l’aspetto selvaggio della storia”. Spiega Corsini, che nel film ha ricreato delle atmosfere che ogni tanto ricordano David Lynch, accompagnate dalla musica di Pino Donaggio: “È sempre stato il mio sogno, ma non avrei mai pensato di riuscirci. Non ho dovuto dirgli quasi niente per arrivare a questo risultato”. Un film prevalentemente femminile, con attrici internazionali che recitano in inglese e in cui gli uomini hanno soltanto parti in secondo piano. L'intervista di Barbara Sorrentini ad Andrea Corsini.

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    Paolo Bergamaschi, già Consigliere Politico Commissione Esteri Parlamento Europeo, analizza lo scontro Europa-Russia, tra minacce e timidi segnali di dialogo. Francesco Vignarca, ricercatore e analista della Rete Pace e Disarmo, racconta l'impatto del piano di riarmo sulla politica dell'Unione, trainato dall'industria e soprattutto dalla finanza. Le mobilitazioni dei lavoratori dell'Ilva non si fermeranno finché i patti non saranno rispettati, perché nessuno comprerà gli stabilimenti se non ci saranno prima degli interventi, come ci spiega Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia della Fiom-Cgil. Giulia Riva giornalista e nostra collaboratrice racconta la giornata internazionale delle persone con disabilità a partire dai dati sul lavoro dove le donne con disabilità sono ancora più penalizzate degli uomini (mentre in Lombardia le aziende preferiscono pagare 82 milioni di multe che assumere persone dalle categorie protette) e poi da atleta paralimpica lancia una sfida alla città di Milano che il lascito delle Olimpiadi invernali in partenza a febbraio sia almeno concretamente utile.

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