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Basteranno le bombe dal cielo a sconfiggere l’Isis?

L’intervento diretto statunitense, con i bombardamenti su Sirte, pone la crisi libica in una fase nuova. Non ha senso parlare di sovranità nazionale come fa il premier incaricato Sarraj, nel momento in cui nel Paese convivono tre governi e un parlamento che non riesce – da gennaio 2016 – a riunire una seduta regolare.

Formalmente questi bombardamenti sono legittimi perché sono stati chiesti da un Consiglio di presidenza riconosciuto localmente e internazionalmente. Infatti la richiesta rivolta a Washington è avvenuta non dal governo incaricato che non ha ottenuto ancora il voto di fiducia del parlamento, ma dall’organismo unitario uscito dai negoziati di Skhierat, lo scorso dicembre 2015.

I bombardamenti di forze militari straniere, agli occhi della maggioranza dei libici, sono interventi per difendere gli interessi occidentali. Ma pragmaticamente, l’uomo della strada crede che far soccombere Daesh sia un bene per il Paese.

L’ex rappresentante della Libia all’Onu, Shalgham, scrive: “Soltanto una concordia tra le parti libiche potrà sconfiggere il jihadismo daeshista e riportare il Paese sulla ricostruzione istituzionale, sociale e strutturale. Ma per arrivare a questo accordo, ciascuno deve fare un passo indietro: scelta che non sembra alle porte”.

A spingere Sarraj a fare questa richiesta sono state le valutazioni dei militari impegnati sul campo a Sirte. I comandanti dell’Operazione Bunyan Marsous (Solida Costruzione), formata principalmente da milizie di Misurata ma inquadrate nell’esercito libico e guidate da ufficiali militari di carriera, hanno scritto al Consiglio di presidenza un accorato appello, nel quale descrivevano da una parte i successi sul campo nella lotta contro Daesh, ma spiegavano anche l’alto costo in vite umane tra i soldati e la popolazione civile intrappolata in città, da una guerriglia urbana alla quale non erano addestrati. Nel documento si chiedeva esplicitamente un sostegno dal cielo, con bombardamenti mirati, per colpire al cuore la struttura di comando del sedicente califfato.

Il documento dei comandanti militari dell'operazione Bunyan Marsous rivolto al Consiglio di presidenza
Il documento dei comandanti militari dell’operazione Bunyan Marsous rivolto al Consiglio di presidenza

Quello che non è comprensibile nella logica del governo incaricato, diretto sempre da Sarraj, è la dicotomia di posizioni rispetto all’intervento francese e quello statunitense. Francia, GB, USA e Italia hanno forze speciali in Libia e negarlo è soltanto una forma di ipocrisia. Il governo francese non ha gradito di certo le anticipazioni di Le Monde dello scorso febbraio, sulla presenza di unità speciali francesi a Bengasi. Poi ha dovuto ammettere l’intervento dopo la caduta di un elicottero e la morte di tre ufficiali francesi. La presenza di truppe speciali di GB e USA a Misurata è stata rivelata da fonti militari libiche alla stampa locale, sotto la copertura dell’anonimato. Contestare la presenza francese ieri e invitare gli statunitensi oggi è stato un errore politico di Sarraj, che in caso di fallimento dell’operazione, rimarrà ancora più isolato nella stessa sua roccaforte Tripoli, dove è praticamente protetto dalle milizie islamiste che hanno cambiato soltanto casacca, ma non l’anima.

In caso di successo dell’operazione, invece, i suoi avversari – il gen. Haftar e il presidente del Parlamento Aqila – dovranno venire a patti con lui.

Il disastro libico è stato causato dalla miopia della classe politica del dopo dittatura e in particolar modo dall’avidità della Fratellanza musulmana. Aver rotto l’unità nazionale dietro la spinta di forze regionali interessate al dominio sulle risorse e il mercato libico (Qatar e Turchia da un lato e Egitto e Emirati arabi dall’altra) ha provocato lo smantellamento dello Stato e creato crepe dove si sono annidati i jihadisti di Al Qaeda e del Daesh.

Soltanto la ripresa di quell’unità porterà il Paese verso la ricostruzione. La sconfitta del sedicente califfato non potrà mai avvenire con i bombardamenti aerei. L’esempio siro-iracheno lo dimostra pienamente. Soltanto le truppe di terra libiche riunificate porteranno a termine quel compito. Serve quel passo indietro delle due parti – auspicato da Shalgham – per poter riportare sicurezza e prosperità a una popolazione esausta e costretta a vivere per metà degli abitanti, o sfollati o in esilio volontario. Ma fino a quando le risorse finanziarie disponibili potranno garantire questo scempio? Non a caso un accordo tra le parti è stato raggiunto sulla gestione delle esportazioni petrolifere, che dopo la sperata sconfitta del Daesh a Sirte potrà riprendere a pieno ritmo.

  • Autore articolo
    Farid Adly
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    A Belèm in Brasile lunedì si apre la Cop30 per il clima per cercare di tenere insieme la lotta al riscaldamento globale sotto i colpi del negazionismo di Trump e delle guerre; insieme alla Cop nella città amazzonica si riuniscono migliaia di rappresentanti di movimenti e organizzazioni sociali per elaborare proposte sulla crisi climatica, a partire da quelle relative all'Amazzonia e ai popoli che la abitano. Si chiama Cupola dos Povos ovvero "cupola dei Popoli", e non è la prima volta che si riunisce anzi, è una tradizione. Come ci racconta una delle leader del movimento indigeno brasiliano Sila Mesquita Apurina intervistata da Sara Milanese.

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    Gaza, l’Onu chiede cibo e tende per l’inverno, ma Israele continua a demolire edifici con raid aerei “A Gaza mancano cibo e rifugi, bisogna aprire il valico di Rafah”: è l’ennesimo appello che l’Onu rivolge a Israele. A quasi un mese dall’entrata in vigore del cessate il fuoco, nella Striscia entra ancora solo una minima parte degli aiuti previsti; le agenzie umanitarie denunciano che Israele impedisce l’ingresso anche a tende, coperte e rifugi. I palestinesi della Striscia, in gran parte sfollati, non sono in condizione di affrontare la stagione fredda che si avvicina. L’esercito però, in violazione del cessate il fuoco, continua l’opera di demolizione degli edifici: dall’alba sono in corso raid aerei sui quartieri orientali di Gaza City. A livello diplomatico intanto gli Stati Uniti, intanto, portano avanti il loro piano per Gaza presso il consiglio di sicurezza dell’Onu: nelle scorse ore la risoluzione che autorizza la Forza internazionale di stabilizzazione è stata presentata anche ai paesi arabi coinvolti nel processo di mediazione tra Hamas e Israele. Da Deir al Balah, la testimonianza di Nicolò Parrino, responsabile logistica di Emergency a Gaza, intervistato da Chawki Senouci.

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