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Aziza Brahim la più votata nel 2016

World Music Charts Europe è una iniziativa che lo scorso anno ha festeggiato un quarto di secolo, e a cui Radio Popolare ha aderito e partecipa dall’inizio: una classifica europea realizzata attraverso il sondaggio mensile di animatori di programmi di world music su emittenti pubbliche, aderenti all’Ebu, appunto l’associazione delle emittenti pubbliche europee, ma con qualche eccezione come Radio Popolare, che è una radio privata di ispirazione comunitarie. Nel 1991 l’EBU sondò la Rai, per coinvolgerla in WMCE, ma la Rai snobbò la proposta. Però all’Ebu segnalarono che volendo c’era una radio che sulle musiche del mondo aveva una certa tradizione e che probabilmente avrebbe risposto con interesse. L’EBU si fece viva con noi, e Radio Popolare aderì entusiasticamente. Ormai ventisei anni dopo, WMCE continua e Radio Popolare continua a farne parte, assieme a emittenti per lo più pubbliche di ventiquattro Paesi europei, fra cui la britannica BBC, le francesi Radio Nova e RFI, le tedesche WDR, NDR e RBB, l’austriaca ORF, Radio Nacional de Espana, la russa Echo of Moskow, la croata Radio Student.

Grazie alla consueta solerzia di Johannes Theurer, che da Berlino coordina la classifica, come sempre WMCE ha compilato un consuntivo dell’ultimo anno. L’album risultato più votato nella classifica generale del 2016 è Abbar el Hamada, della cantante sahrawi Aziza Brahim, pubblicato dalla Glitterbeat.

Buscando la Paz è il brano di apertura dell’album:

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Hamada è la parola con cui i sahrawi chiamano il paesaggio desertico e pietroso lungo il confine tra l’Algeria e il Sahara occidentale, il territorio rivendicato dal popolo sahrawi e loro negato dal Marocco: una frontiera, quella tra Algeria e Sahara occidentale, dove decine di migliaia di Sahrawi languono in campi di rifugiati. E Abbar el Hamada “attraverso l’Hamada” – è un titolo che – dice la cantante e attivista sahrawi – sintetizza “il nostro destino come paese negli ultimi quarant’anni: soffriamo un’ingiustizia che ci condanna a sopravvivere in un ambiente inospitale come l’Hamada”.

Quello di cui parla nella sua produzione è anche l’esperienza personale di Aziza Brahim: nata nel 1976 in un campo nella regione di Tindouf in Algeria, dove sua madre aveva trovato rifugio dall’occupazione marocchina, Aziza non ha mai potuto conoscere il padre, che era rimasto nel Sahara occidentale, dove poi è morto; dall’età di undici anni Aziza è stata in esilio a Cuba, per una decina d’anni, poi ha vissuto a Barcellona.

Una ventina d’anni fa, seguendo la sua passione per la musica, ha avviato la sua carriera. I temi delle canzoni di Aziza Brahim non sono certo dei più gioiosi, l’ispirazione è militante, ma la musica e il canto dell’artista sahrawi sono nondimeno molto brillanti. Aziza ha cominciato a incidere nel 2008, e il suo terzo album Soutak, pubblicato come quest’ultimo dalla Glitterbeat, nel 2014 è stato per tre mesi in cima a World Music Charts Europe. Se Soutak era un album influenzato dalla sua permanenza a Barcellona, in questo Abbar el Hamada Aziza Brahim guarda maggiormente all’Africa occidentale, avvalendosi di un poercussionista selegalese, Sengane Ngom, del batterista Aleix Tobias che ha studiato in Gambia e Senegal, e del chitarrista maliano Kalilou Sangare.

Se con Hamada il riferimento è al proprio specifico dramma, lo è anche ad una condizione ben più vasta, si può dire universale, e che abbiamo sotto gli occhi, quella del proliferare di barriere che chiudono, che impediscono di muoversi, e che spesso uccidono: la canzone che conclude l’album si intitola Los muros, e finisce con questi versi: “I muri continuano a crescere, in terra e in mare”. Muri come le fortificazioni che il Marocco ha costruito lungo il confine del Sahara occidentale per impedire ai sahrawi di rientrare in patria, muri come il Mediterraneo che tanti devono attraversare a rischio della vita, muri come quelli che si moltiplicano in Europa, muri come quelli che opprimono i palestinesi: un’altra canzone dell’album si intitola Intifada.

Il clip di un altro brano da Abbar el Hamada:

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  • Autore articolo
    Marcello Lorrai
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    Il 9 settembre, dopo 14 anni di lavori, l’Etiopia ha inaugurato ufficialmente la Gerd, la Grand Ethiopian Renaissance Dam, il più grande progetto idroelettrico d'Africa, e tra i 20 più grandi al mondo. Da anni la diga è anche causa di tensione con i paesi a valle del Nilo: Sudan e soprattutto Egitto, che temono di vedere ridotte le proprie risorse idriche, anche in considerazione dei sempre più frequenti periodi di siccità. “Questa diga sarà certamente uno degli epicentri di tensione di questa regione nel prossimo futuro” spiega Luca Puddu, docente di storia dell’Africa all'Università di Palermo, al microfono di Sara Milanese. Ascolta l’intervista andata in onda in A come Africa.

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