
Il massiccio bombardamento russo sull’Ucraina delle ultime ore è il secondo più grande dall’inizio della guerra. I circa 600 droni e 31 missili, lanciati principalmente contro la capitale ucraina, hanno lasciato a terra 19 corpi e decine di feriti, ma al momento si scava ancora tra le macerie e il bilancio è quasi certamente destinato a crescere.
Ma al di là delle vittime e dei danni causati, i vertici di Kiev e i leader europei hanno interpretato l’attacco russo come un colpo quasi mortale ai negoziati. Da Von der Leyen a Macron, passando per Starmer, Sanchez e Meloni, quasi tutti i capi di stato e di governo dell’Ue hanno condannato fermamente le azioni di Mosca dichiarando, quasi all’unisono, che «è questa la risposta di Putin ai tentativi di porre fine alla guerra». Ma da Mosca minimizzano, come sempre dal 24 febbraio 2022, affermando di aver colpito «imprese del complesso militare-industriale e basi aeree militari». Inoltre, secondo il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, dato che non c’è stato ancora alcun accordo per una tregua aerea (come si ipotizzava prima del vertice in Alaska) le forze aerospaziali russe non avrebbero alcun motivo per fermarsi.
Più che una giustificazione sembra una dichiarazione programmatica che palesa le intenzioni russe dal punto di vista militare. Nessuna tregua e nessun rallentamento dell’azione militare finché la controparte non accetterà di trattare sulla base delle richieste russe. Derivano da questa stessa valutazione i rimandi al vertice bilaterale tra Putin e Zelensky, che secondo Trump doveva essere il prossimo (e fondamentale) passo per definire i termini della fine delle ostilità, ma che per Mosca non è ancora all’ordine del giorno. Tuttavia, per i vertici russi è fondamentale non incrinare i rapporti con Washington, che ultimamente si stanno allargando alla cooperazione energetica e commerciale sugli idrocarburi e l’Artico.
Sabato Angieri