Approfondimenti

Ani DiFranco con il nuovo “Revolutionary Love” è l’Artista della settimana

Presentiamo la seconda Artista della settimana di Radio Popolare, dopo i britannici SAULT (qui l’articolo che li introduceva): da lunedì 1 febbraio ascolterete le sue canzoni nelle nostre trasmissioni e domenica 7, dalle 16 alle 16.30, chiuderemo la settimana con uno speciale dedicato al disco, appena pubblicato, che abbiamo scelto: “Revolutionary Love” di Ani DiFranco.

 

Ani DiFranco (sito ufficiale dell’artista) è un simbolo, una vera icona. La sua carriera è stata un pioneristico esempio di indipendenza e di fierezza: iniziò a dimostrarlo già dalle prime canzoni, forti e dirette, che prese a comporre quando aveva solo 14 anni, per poi arrivare alla fondazione della sua etichetta indipendente, la Righteous Babe Records, aperta nel 1989, quando di anni ne aveva 19. L’anno successivo pubblicò il suo primo album, chiamato semplicemente Ani DiFranco. Da lì in poi divenne un tutt’uno con la propria musica, sempre in tour, fermandosi solo per registrare e pubblicare nuovi album: 10, tra il 1990 e il 1999, con una densità di qualità encomiabile nonostante la prolificità della sua scrittura.

Ani DiFranco è stata ed è tuttora un simbolo soprattutto per la forza e l’intelligenza con cui ha scelto di essere libera, perfettamente rappresentata dalla ragazza che mostra i bicipiti scelta come logo della sua etichetta. Nel 1989 che a una esordiente venisse in mente di aprire una label indipendente non era affatto semplice o banale, ma l’etica anti-corporation, che ispirava già allora DiFranco, la portò a preferire per la propria carriera un approccio “fai da te” (do it yourself, come direbbe lei).

Ani DiFranco è anche un’attivista, una persona che ha dedicato buona parte della sua vita a farsi megafono e interprete di molte istanze politiche e sociali, quasi sempre con una esplicita chiave femminista.

Tutti motivi per cui, per noi di Radio Popolare, un nuovo album di Ani DiFranco è sempre una buona notizia, oltre che una fonte di gioia e di molte ispirazioni. E attenzione: l’impegno politico e sociale che innerva ogni aspetto dell’arte e della vita di Ani DiFranco non deve mettere in ombra la straordinaria sensibilità musicale, melodica e poetica di questa artista, le cui composizioni possono, con grande semplicità, essere ascoltate anche solo come bellissime, leggere, coinvolgenti canzoni.

Erano quattro anni, dal disco Binary del 2017, che DiFranco mancava dalle scene: una delle pause più lunghe nella sua ormai trentennale carriera. Revolutionary Love è il titolo del suo nuovo album, ispirato dal libro See no stranger – A memoir and manifesto of revolutionary love, scritto dall’avvocatessa e attivista americana di origine sikh Valerie Kaur.

E’ una chiave particolare quella scelta da Ani DiFranco in Revolutionary Love per raccontare un periodo di estrema, radicale, dilaniante turbolenza politica nel suo paese, gli Stati Uniti: una chiave appunto ispirata dal libro di Kaur, in cui l’amore rivoluzionario di cui si parla è quello che si può usare come arma contro l’odio. Amore anche per chi è nostro avversario: è questa la prospettiva definita rivoluzionaria che si ritrova poi nelle canzoni dell’album, e in particolare in quella che porta lo stesso titolo del disco, una lunga ballata in cui si ascolta la sua voce cantare:

«No, non puoi obbligarmi ad odiarti e poi spargere il mio odio intorno a te. Non vedrò in te un estraneo, ma solo una parte di me che ancora non conosco. Guarderò oltre la cattiveria, per trovare una ferita troppo spaventata per mostrare se stessa»

Gli arrangiamenti di Revolutionary Love sono ricchi, caldi, rotondi. Si basano spesso sulla chitarra acustica di DiFranco – il cui raffinato virtuosismo è fatto di una vita passata a suonare ovunque si potesse – e trovano equilibri nell’incontro con il jazz, il soul, il pop orchestrale.

Con questo album di Ani DiFranco ritroviamo una delle voci più rappresentative del cantautorato americano, con una manciata di canzoni che sembrano fatte apposta per rimarginare ferite tanto recenti quanto profonde.

Iniziate dall’ascolto del brano che dà il titolo all’album, mentre vi diamo appuntamento nelle nostre trasmissioni per proporvene altre.

  • Autore articolo
    Niccolò Vecchia
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    L’Europa e il bellicismo crescente delle sue classi dirigenti. L’ultimo caso, quello dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone e la postura aggressiva che dovrebbe tenere la Nato. Cosa possono fare il pensiero e la cultura della pace per contrastare l’escalation bellicista e la normalizzazione della violenza? Le risposte possono non essere quelle consuete, soprattutto perché in Occidente stiamo assistendo ad un cambio delle coordinate geopolitiche costruite negli ultimi ottant’anni. Un esempio. Il settimanale «The Economist» ha scritto nella sua rubrica di geopolitica «The Telegram» apparsa oggi sulle pagine online: «In Europa le preoccupazioni per l’inaffidabilità dell’America sotto Donald Trump stanno lasciando il posto a un timore più grande: che, pur presentandosi come il campione della civiltà occidentale, egli consideri ormai le democrazie occidentali reali come avversarie. “Nella Washington di oggi” - scrive il nostro editorialista di The Telegram - l’Europa “è spesso descritta con maggiore disprezzo rispetto alla Cina o alla Russia”. Pubblica oggi ha ospitato Donatella Della Porta, scienziata della politica, e Agostino Giovagnoli, storico.

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