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Antonio La Torre difende Jacobs dalle insinuazioni della stampa anglosassone: “In atletica non si inventa nulla, altro che miglioramenti repentini”

Marcell Jacobs ANSA

Mentre in Italia esultavamo per l’oro di Marcell Jacobs, New York Times, Washington Post e il Times di Londra hanno sollevato dubbi su un possibile effetto doping dietro la vittoria.  Si tratta di illazioni non supportate da prove o documenti: il Washington Post scrive: “Sarebbe ingiusto accusare Jacobs: a lui va dato il beneficio del dubbio, ma all’atletica no“.

Il Washington Post si riferisce al fenomeno dei cosiddetti “atleti pop up”, quegli atleti cioè che ottengono una straordinaria prestazione occasionale, senza una precedente continuità agli stessi livelli. Secondo il quotidiano statunitense la storia dell’atletica leggera è “disseminata di campioni pop up rivelatisi poi imbroglioni col doping” e questi miglioramenti sono degni di sospetto.

Stessi toni anche dal Times di Londra: “L’arrivo di una nuova stella mette in allerta” scrivono ricordando come delle 50 migliori performance nei 100 metri, a parte le 14 realizzate da Bolt, 32 su 36 sono di velocisti poi risultati positivi. Jacobs non era mai arrivato sotto i 10 secondi prima di ieri, ha ricordato su Twitter Tariq Panja del New York Times che aggiunge: “Difficile capire questo repentino progresso”.

Antonio La Torre, direttore tecnico delle squadre nazionali di atletica leggera e professore associato di Metodi e Didattiche dell’Attività Sportiva presso la Scuola di Scienze Motorie dell’Università degli Studi di Milano, raggiunto telefonicamente a Tokyo da Radio Popolare, ha risposto ai dubbi sollevati dal Washington Post e dal NY Times che per l’appunto giudicavano “molto repentini” i miglioramenti cronometrici di Marcell Jacobs:

Bisogna cercare di far bene il mestiere di giornalisti. Ricordo a tutti che se avesse delle ginocchia un po’ meno fragili probabilmente oggi avremmo celebrato Marcell Jacobs campione olimpico di salto in lungo. Marcell ha un record personale vicino agli 8.50 metri e oggi la gara è stata vinta con un salto di 8.41 metri. Quest’anno avrebbe gareggiato con una generazione di saltatori sicuramente al di sotto del suo infinito talento. Jacobs ha lavorato benissimo in questo anno e mezzo, nonostante la pandemia. I segnali si sono visti da questo inverno. In atletica non si inventa nulla, altro che miglioramenti repentini. Quest’inverno a Torun, in Polonia, ha vinto il titolo europeo con 6.47 secondi sui 60 metri, la miglior prestazione mondiale dell’anno. A Savona ha corso i 100 metri in 9.95 secondi e poi tante altre gare sotto o vicino ai 10 secondi. Questo dovrebbero raccontare i giornalisti americani. La nostra strategia era dare il massimo alle Olimpiadi. Non dimentichiamo un’altra cosa, che i giornalisti americani conoscono: leggete quello che ha detto Usain Bolt a proposito delle scarpe e del vantaggio che danno. Ci sono già studi scientifici che lo certificano. E pure questa pista, fatta da un’azienda italiana, è davvero stupefacente: stanno correndo forte tutti, un miglioramento di quasi un decimo c’è stato per tanti atleti. Oggi sono stato intervistato dall’ Associated Press e il giornalista era stupito che gli raccontassi tutti i dati dell’allenamento di Marcell, che normalmente registriamo e che sono a disposizione di qualunque giornalista voglia venire a curiosare. Cosa che non è altrettanto facile in altre realtà, americane o inglesi. Credo ci sia un pochino di fastidio, non so se il termine giusto sia “rosicare”. Non esiste nessuna legge che dice che chi vince lo sprint dev’essere per forza americano o inglese. Vi ricordo che nel 2003, ai mondiali di Parigi, vinse un certo Collins nato nelle isole Saint Kitts e Nevis. Questo per dire che c’è talmente tanta partecipazione a questa gara che, a volte, bisogna solo avere pazienza e aspettare che i talenti maturino per dare pieno spazio al loro motore e alle loro potenzialità.

Un altro punto su cui La Torre vuole soffermarsi è la presenza di tanti atleti di seconda generazione, nella compagine azzurra a Tokyo e nella squadra di atletica leggera in particolare:

Oggi non ho fatto in tempo a leggere i giornali, ho letto solo di sfuggita un titolo che mi è piaciuto moltissimo, un pezzo di Aldo Cazzullo “Non esistono «neri italiani», italiani basta e avanza. Cerchiamo di essere un po’ più veloci in queste cose, a diventare un Paese civile come nel resto d’Europa. Io parlavo di ius soli sportivo fin dal 2011, studiando quello che accadeva nel calcio tedesco. La Germania vinse nel 2014 il mondiale con la squadra più multietnica mai vista, dove i “tedeschi tedeschi” (come diremmo noi i “lombardi lombardi” o gli “italiani italiani”) saranno stati due o tre su ventidue o ventiquattro calciatori. E poi c’erano i figli dell’immigrazione, soprattutto turca o polacca. E sapete cosa ha fatto la Turchia? Ha aperto un ufficio per chiedere ai ragazzi di origine turca in Germania, di optare per la nazionalità turca entro i 15 anni, perché si sono resi conto che si disperde un enorme patrimonio di talento sportivo. Ora la squadra italiana di atletica è la fotografia di quella che è la società italiana in questo momento: basta andare in giro! Io non mi sono mai accorto di che colore hanno la pelle questi atleti, non voglio fare quello che ignora i problemi, ma se di una cosa sono contento è che in questa squadra questo problema non è mai esistito.

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