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Ai Weiwei. Dissenso o compromesso?

Ai Weiwei? Mostra un lato rosso all’Occidente e poi un lato bianco al governo cinese”, mi dice un’amica di Pechino sventolandomi sotto il naso la sua agenda che, appunto, ha due copertine di colore diverso.

Insomma, il più noto artista, intellettuale e dissidente cinese, colui che nei media occidentali ha il quasi monopolio della critica situazionista al governo di Pechino, non è necessariamente profeta in patria.

Se c’è chi vede in lui il coraggio di avere inaugurato la dissidenza creativa e di averne subite anche le conseguenze, c’è anche chi sente puzza di bruciato: Ai Weiwei sventola la bandiera rossa della rivoluzione a uso e consumo dell’Occidente, che lo mette sul piedistallo, gli fa fare mostre, lo arricchisce; ma alza bandiera bianca con il governo cinese, scende a compromessi, gode ancora della posizione di rendita data dal fatto di essere figlio di Ai Qing, uno dei più famosi poeti cinesi contemporanei. E tutto sommato fa comodo alla leadership di Pechino, perché con la sua presenza così carismatica e ingombrante fa passare in secondo piano i cinesi che magari lottano nelle campagne, o nelle fabbriche, o per i diritti civili.

Ai Weiwei si occupa del tema del giorno, quello che fa spettacolo: sì dunque ai bambini morti nel crollo delle “scuole di tofu” durante il terremoto del Sichuan; no, perché poco d’impatto, a quelli lasciati indietro nelle campagne dai genitori migranti, che accumulano ritardo sociale e culturale.

È un sentire non necessariamente corretto, ma abbastanza diffuso. Si dice che senza la pubblicità politica che ha avuto, l’artista-intellettuale-dissidente non farebbe più mostre e che quindi il suo ruolo da ribelle e vittima sacrificale sia anche il suo business.

Opinabile: alcune opere di Ai Weiwei, anche nella sua fase pre-militante, sono notevoli; ma è sicuro che il decollo del 58enne artista pechinese verso l’Empireo dell’arte internazionale è avvenuto con la sua operazione anti-bugie di Stato dopo il terremoto del Sichuan del 2008, dopo il pestaggio del 2010 che gli ha lasciato una lieve invalidità e infine con la detenzione arbitraria del 2011.

I cinesi spesso inscenano proteste estreme, fino a sacrificare la propria vita: ma non amano particolarmente chi costruisce una carriera sul dissenso.

Lui, a dire il vero, cerca anche di spostare l’attenzione su altri artisti impegnati, ma questa è la sua condanna e la sua contraddizione: ogni volta che si muove, attira i riflettori su di sé e fagocita tutti gli altri.

L’ultima polemica con la Lego è significativa. La compagnia danese ha rifiutato a un museo australiano l’acquisto di oltre un milione di mattoncini che sarebbero serviti per un’installazione di Ai Weiwei chiamata Trace e patrocinata da Amnesty International. L’artista li avrebbe usati per ricreare le fattezze di prigionieri politici di tutto il mondo.

Immediatamente, l’artista ha personalizzato la questione parlando di “censura” e addirittura di “discriminazione” nei suoi confronti. In un tweet ha chiesto ai suoi quasi 300mila followers di regalargli mattoncini Lego. I media occidentali si sono sbizzarriti a suggerire che la Lego ha in vista un grande business proprio con la Cina, lasciando intendere che la longa manus di Pechino fosse arrivata in Danimarca, dove, si sa da sempre, c’è del marcio.

In realtà, giusta o sbagliata che sia, la linea “no politics” dell’azienda dei mattoncini esiste da sempre: ha colpito anche il governo britannico – quando gli è stato ingiunto di ritirare gli omini della Lego utilizzati per una campagna propagandistica contro l’indipendenza scozzese – e una giornalista statunitense che aveva postato su Flickr una foto dei medesimi pupazzetti usati questa volta per riprodurre e celebrare le donne che fanno parte della Corte Suprema di Washington. Anche qui, è arrivato il niet dell’ufficio legale Lego.

Insomma, molti, a Pechino e dintorni, sono convinti che tra Ai Weiwei e il governo ci sia un implicito gioco delle parti: tu critichi, ma fino a un certo punto, quanto basta per piacere all’Occidente e fare i soldi.

E Pechino se la ride, perché Ai Weiwei conferma proprio l’idea che dissidenti siano tutto sommato dei piacioni che vogliono avere successo fuori dalla Cina.

  • Autore articolo
    Gabriele Battaglia
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    Aree interne, non piace il riferimento del governo al declino demografico: per Legambiente nell’Oltrepo pavese c’è un’inversione di tendenza

    Nuova strategia e organismi di gestione per i fondi per le aree interne fino al 2027. Lo ha deciso il governo, con poca convinzione nella possibilità di invertire lo spopolamento e il declino economico di ampie zone d’Italia, più al sud che nel centro nord. In tutto ci vivono oltre 13 milioni di persone. In Lombardia le aree interne sono Valcamonica e Valcamonica in provincia di Brescia, Val d’Intelvi in quella di Como, e l’Oltrepo pavese. Per supportare questi territori ci saranno strutture dalla presidenza del consiglio alle regioni, passando per gli enti territoriali comprensoriali che dovranno attivarsi per coordinare il lavoro in rete. Come nella precedente strategia rimangono centrali i servizi per chi vive in questi territori, dalla sanità alla scuola, passando per le connessioni digitali e i trasporti. L’invecchiamento della popolazione, secondo il documento del governo, appare maggiore in questi territori, i migranti possono aiutare a diminuire questa prospettiva, così come ci sono segnali di ripresa del commercio in alcuni territori. Fabio Fimiani ha sentito Patrizio Dolcini di Legambiente Oltrepo pavese, una delle aree interne della Lombardia.

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    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

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