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“L’affaire Briatore. Una storia molto italiana”

L’affaire Briatore è il titolo di una biografia, non autorizzata, di un “campione” dell’Italia berlusconiana che – nonostante il tramonto di Berlusconi – punta a sopravvivere al suo modello di riferimento.

Il libro (Melampo Editore, 2016) è stato scritto da due giornalisti, autori di diverse inchieste e reportage: Andrea Sceresini e Maria Elena Scandaliato.

Chi era Briatore prima di diventare Mr. Billionaire?

«Flavio Briatore – racconta Andrea Sceresini – era un geometra di Verzuolo, in provincia di Cuneo. Di belle speranze, rampante, ha saputo stringere amicizie con una serie di personaggi giusti. Briatore si è fatto strada tra gli anni Settanta e Ottanta incarnando una figura che in Italia è molto apprezzata: quella del self-made man, dell’uomo che si è fatto da solo, partendo da zero».

Com’è diventato poi Mr. Billionaire?

«Briatore ha avuto una serie di vicende che lo hanno portato da Cuneo a Milano, agli Stati Uniti e poi di nuovo in Italia, nella Formula 1. Ha conosciuto – prosegue Sceresini – una serie di persone, alcune delle quali, Attilio Dutto, hanno fatto una fine terribile. Dutto è stato il suo primo socio in affari, nonché l’uomo che per primo lo ha lanciato nel mondo del business, seppur locale della Cuneo del 1978. Nella primavera del ’79 Dutto esplode su un’autobomba. E’ uno dei tanti episodi poco chiari, o sfortunati, che costellano la carriera di Briatore. A seguire c’è una condanna per gioco illegale all’inizio degli anni ’80, a seguito della quale scappa e va in America come latitante fino all’amnistia della fine anni ’80. Durante questa latitanza Briatore diventa amico di Benetton. Quando poi rientra in Italia si lancia nel mondo della Formula 1».

Dove aveva imparato a fare il manager di Formula 1?

«Una delle cose interessanti emerse dalle testimonianze che abbiamo raccolto – fa notare Andrea Seresini – ci dice che le sue competenze sono state nient’altro che le sue relazioni. Questo è stato il suo segreto. Briatore ha aperto dei negozi nei Caraibi americani, i primi negozi Benetton all’estero, senza che sapesse parlare in inglese, senza avere competenze manageriali. E’ arrivato poi in Formula 1 senza conoscere niente di quel mondo. Ci sono testimoni che hanno raccolto i suoi sfoghi dell’epoca, durante le prime gare a cui assiste come manager, in cui Briatore si lamenta del fatto di non capire nulla della Formula 1. Entrando nello specifico dei singoli episodi – aggiunge Sceresini – ci si rende conto di come questo mito del manager che riesce a barcamenarsi in varie situazioni, a cavarsela, ad avere sempre successo, è solo il frutto di relazioni giuste al momento giusto».

Perché un personaggio come Briatore finisce per rappresentare un pezzo della storia italiana?

«Briatore ha avuto una storia molto simile a quella di Berlusconi. Due uomini che partono dal nulla, o quasi, e costruiscono un impero, balzano agli onori delle cronache internazionali. Diventano poi dei modelli ai quali negli ultimi venti-trent’anni si è fatto riferimento in Italia. Dagli anni Ottanta in poi la figura dell’imprenditore rampante, che si è fatto da solo, rappresenta un mito fondante dell’Italia».

Oggi con il berlusconismo in declino, Briatore riesce a sopravvivere al tramonto di Berlusconi?

«Direi di sì. Berlusconi è finito come figura politica, forse anche come imprenditore, però l’Italia che fa riferimento a lui – e a modelli come il suo – è ancora quella di oggi. Non penso che sia cambiata molto, a livello culturale, rispetto a qualche anno fa. Ne è la prova il fatto che Briatore spesso viene invitato ancora nei talk-show come opinionista, oppure viene chiamato all’università Bocconi a parlare agli studenti o a fare i reality show in tv. Pur essendo un personaggio che in passato ha avuto un legame stretto col mondo berlusconiano, è evidente che il mito di Briatore, la sua figura, sopravvive al declino del berlusconismo».

Ascolta l’intervista completa con Andrea Sceresini

  • Autore articolo
    Raffaele Liguori
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    Fratellanza e spiritualità, dall’Italia alla Nigeria: Wayloz racconta "We All Suffer"

    È da poco uscito il secondo EP di Wayloz, artista italo-nigeriano che oggi è passato a trovarci a Volume per suonare alcuni brani. “Mentre nel precedente ep ho voluto catturare l’essenza di ciò che ero io con la chitarra in mano, qui c’è molto più spazio per gli arrangiamenti e per altri strumenti musicali”, spiega Wayloz. Tra folk primitivo, altrock, blues e suoni dell’Africa tribale, il disco è un viaggio tra atmosfere desertiche e rurali, che esplora il rapporto con la natura ma non solo: il titolo “We All Suffer” è più che altro un invito a riconoscere una condizione che è di tutti e a “trovare solidarietà e fratellanza con le altre persone”. L'intervista di Elisa Graci e Dario Grande e il MiniLive di Wayloz

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