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“Adolescence”, la nuova serie Netflix che racconta il dramma di una generazione cresciuta a pane e social network

"Adolescence", la nuova serie Netflix

In modo non dissimile da quanto accaduto circa un anno fa con Baby Reindeer, una miniserie inglese è apparsa su Netflix, senza promozione né fanfare – negli stessi giorni in cui, tra l’altro, la piattaforma pompava in ogni dove The Electric State, deludente blockbuster costato 320 milioni di dollari – e in pochi giorni è diventata uno dei prodotti culturali più commentati, consigliati e analizzati di questo 2025: s’intitola Adolescence, “adolescenza”, e a questo punto è probabile che ne abbiate già sentito parlare. Si tratta di una miniserie britannica, in sole quattro puntate da circa un’ora ciascuna, co-creata da Jack Thorne – sceneggiatore inglese e drammaturgo affermato, in tv tra le altre cose ha curato l’adattamento di Queste oscure materie – e da Stephen Graham – strepitoso attore fattosi conoscere soprattutto con This Is England, ma in questi giorni al centro anche della serie Disney+ A Thousand Blows. Di Adolescence Graham è anche uno degli attori protagonisti, nel ruolo del padre di Jamie, un ragazzino di 13 anni che viene arrestato con l’accusa di aver ucciso una compagna di scuola della stessa età. Tutto comincia una mattina apparentemente come tante altre, quando la polizia fa irruzione violentemente in casa Miller, mentre la famiglia si appresta a cominciare senza sospettare nulla la propria giornata; ma, nonostante lo sbigottimento incredulo dei genitori e le dichiarazioni di Jamie che continua a professarsi innocente, Adolescence non è la storia di un clamoroso errore giudiziario, né un whodunit, un giallo costruito su false piste e colpi di scena che porterà solo alla fine a scoprire il vero colpevole. No, il colpevole – non è uno spoiler, lo si vede verso la fine del primo episodio, e inoltre ne stanno parlando apertamente interpreti e creatori in questi giorni durante le interviste – è proprio Jamie, un ragazzino dall’intelligenza acuta e dai modi educati, circondato dall’affetto dei propri genitori e della sorella più grande, ultimamente non molto bravo a scuola, certo, ma che finora non aveva mai manifestato alcun tipo di problema. L’argomento che la miniserie indaga – il vero mistero da sciogliere – non riguarda il chi, ma il perché, ed è lo stesso mistero che ha portato Graham e Thorne a voler realizzare la serie: nel giro di pochi giorni, qualche tempo fa, hanno letto di due fatti di cronaca praticamente identici, accaduti ai lati opposti dell’Inghilterra, in entrambi i casi un ragazzo di 13 anni aveva accoltellato una coetanea. I quattro episodi di Adolescence si appoggiano a una struttura e a una scelta formale evidenti e ben precise: ambientati in quattro momenti e ambienti diversi – la stazione di polizia il giorno dell’arresto, la scuola di Jamie qualche giorno dopo, la struttura detentiva durante un incontro con una psicologa diversi mesi dopo, e infine la casa e il furgone di famiglia dopo un paio d’anni – sono girati ognuno in un unico pianosequenza, riprendendo dunque lo svolgersi esatto di un’ora precisa. A dirigere le puntate c’è Philip Barantini, che con Stephen Graham e lo stesso metodo aveva già realizzato il film Boiling Point – Il disastro è servito, ambientato nella cucina di un ristorante – e quella del pianosequenza è una scelta che obbliga lo spettatore a un’attenzione e a un ascolto più intensi, come se lo incatenasse sul luogo degli eventi a cercare di decifrare la situazione. Ma la vera forza di Adolescence è la pacatezza con cui pone le proprie domande, lasciando emergere le risposte: non è una serie “scandalistica” su un caso di cronaca scioccante, anzi, proprio l’opposto. È il racconto di un insieme di responsabilità collettive – per questo ogni puntata è dedicata a una “istituzione”, dalla scuola alla famiglia – e di una generazione di adolescenti che in un certo senso fa da cavia a un mondo dominato da internet e dai social network, scavando una distanza incolmabile con adulti che faticano a comprendere il loro linguaggio. Che se ne parli così tanto è importante anche perché porta sotto i riflettori un fenomeno angosciante, quello della radicalizzazione online alla misoginia di maschi sempre più giovani, che sta assumendo una diffusione sempre più epidemica: finora ha prosperato quasi invisibile, ed è ora di portarlo alla luce.

  • Autore articolo
    Alice Cucchetti
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    Luciana Ronchi, 62 anni, è morta dopo che questa mattina l’ex marito Luigi Morcaldi, 64 anni, l'ha accoltellata sotto casa sua. I due si erano separati tre anni fa. Dopo averla ferita gravemente al collo e alle spalle, l’uomo era scappato in scooter da via Grassini, nel quartiere di Bruzzano. Secondo i testimoni, era da almeno un mese che Morcaldi si appostava sotto casa della donna. La polizia l’ha fermato 8 ore dopo l’aggressione, mentre si trovava all’interno del Parco Nord, dove è stato ritrovato anche il coltello utilizzato per aggredire la donna, che era stata ricoverata in gravissime condizioni all’ospedale Niguarda di Milano. L’episodio avviene a pochi giorni dal femminicidio di Pamela Genini, la ventinovenne uccisa dall’ex compagno Gianluca Soncin in via Iglesias. Non Una di Meno, insieme a diverse associazioni di quartiere, l’aveva ricordata in una fiaccolata a Gorla domenica pomeriggio. Elena Fusar Poli è un’attivista di NonUnaDiMeno Milano. L'intervista a cura di Chiara Manetti.

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