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Addio al cantautore cubano Pablo Milanés

E’ mancato ieri, a 79 anni, Pablo Milanés, una delle figure più popolari della musica cubana e uno dei cantautori più apprezzati al mondo. Il 13 novembre Milanés era stato ricoverato a Madrid, dove viveva: nel 2014 aveva subito un trapianto di rene, e da alcuni anni soffriva di una malattia oncoematologica. Il 21 giugno scorso si era esibito nello stadio sportivo dell’Avana davanti a migliaia di persone. Nato nel ’43 a Bayamo, nella provincia di Granma, nell’oriente di Cuba, Pablo Milanés manifesta precocemente la sua vocazione per il canto: a partire dai sei anni, accompagnato dalla madre Pablito comincia a frequentare gli studi delle radio e a partecipare a concorsi radiofonici, prima a Bayamo, poi all’Avana dove la famiglia si è trasferita. Ancora bambino inizia ad esibirsi come musicista ambulante nei caffè della capitale, interpretando bolero e canzoni messicane, ma frequenta anche le messe cantate della chiesa presbiteriana. Negli anni cinquanta ascolta musica proveniente dagli Stati Uniti e si avvicina al movimento del filin, che dagli anni quaranta sta innovando la canzone cubana. Dopo la rivoluzione Aida Diestro, una delle protagoniste del filin, lo fa entrare come prima voce nel gruppo vocale El Quarteto del Rey, specializzato in negro spirituals. Milanés stringe amicizia con i grandi del filin, Elena Burke, Omara Portuondo, César Portillo de la Luz, e scopre Bach attraverso l’elaborazione semi-jazzistica che ne dà il gruppo vocale francese Swingle Singers: le sue prime canzoni rivelano l’influenza del filin, della musica barocca e di musicisti come il compositore francese di musica da film Michel Legrand. Nel nuovo clima rivoluzionario l’urgenza di superare l’impasse nella quale si è arenato il romanticismo del filin spinge Milanés a rivalutare la canzone tradizionale cubana. Suggestionato dal primo Encuentro Internacional de la Canción Protesta, che porta a Cuba cantanti impegnati da ogni parte del mondo, nel ’67 Milanés scrive Yo vi la sangre de un niño brotar, canzone di denuncia sull’aggressione americana al Vietnam.

Le canzoni di Milanés vengono notate dal Centro de la Canción Protesta della Casa de las Americas. Milanés entra in contatto con un altro giovane cantautore, Silvio Rodríguez: a presentarli è Omara Portuondo. Pablo, Silvio e Noel Nicola sono fra i giovani che nel febbraio del ’68 partecipano al primo concerto del Centro de la Canción Protesta: è la premessa del movimento della Nueva Trova. Milanés rimane impressionato dalla personalità di Haydée Santamaria, che ha partecipato all’assalto al Moncada ed è stata fra i dirigenti della lotta rivoluzionaria, e che è l’anima della Casa de las Americas. Compone Si el poeta eres tú, dedicata a Che Guevara. Intanto sue canzoni d’amore vengono adottate dalla grande Elena Burke. Milanés scopre Violeta Parra e Victor Jara. Nel ’69 viene cooptato nel Grupo de Experimentación Sonora creato da Alfredo Guevara per operare nell’ambito dell’Instituto del Cine e diretto da Leo Brouwer. Nel ‘72 è in Cile, dove ha occasione di incontrare Allende: lo shock del golpe del ’73 produrrà due canzoni come A Savador Allende en su combate por la vida e Yo pisaré las calles nuevamente. I primi album personali importanti, alla fine degli anni settanta, danno il via ad una intensa attività discografica. Con titoli come No vivo en una sociedad perfecta, Amo esta isla, Yo me quedo, Milanés ribadisce il suo legame con Cuba. Negli anni ottanta è spesso con grande successo all’estero; nell’83 è per la prima volta in Brasile, dove si esibisce assieme a Chico Buarque.

Alla metà degli ottanta l’album doppio Querido Pablo, con importanti partecipazioni, rappresenta un consuntivo di venti anni di lavoro. Nella seconda metà del decennio, assieme a Silvio Rodriguez, compone la canzone Quando te encontré, dedicata alla rivoluzione cubana. Nell’88 percorre l’isola in un giro di ventidue concerti. Dagli anni novanta l’attività discografica di Milanés è fra l’altro largamente consacrata al recupero e alla reinterpretazione di canzoni dei repertori del bolero e del filin. Del ’94 è l’album Omaggio a Pablo Milanes: un florilegio di sue canzoni interpretate in italiano fra gli altri da Paoli, Bertoli, Vecchioni, Finardi, Locasciulli, Mau Mau. Fra gli album degli ultimi anni Renacimiento, del 2013, imperniato su forme della musica cubana secondo Milanés non abbastanza valorizzate, come il changuí dell’oriente cubano o la conga del carnevale; e Standard de Jazz, del 2019, dedicato alla rivisitazione di brani come All The Things You Are.
Anche nelle canzoni di valenza più direttamente politica del suo repertorio Milanés si è sempre mantenuto al livello di una alta qualità poetica e musicale e lontano dalle semplificazioni e dall’impegno didascalico.

Amatissimo in patria, Milanés non ha nascosto negli ultimi decenni le sue opinioni critiche sulla situazione cubana, che per via della sua popolarità e autorevolezza hanno spesso fatto scalpore. Dopo le proteste scoppiate a Cuba nel luglio 2021 aveva scritto su Facebook: “E’ irresponsabile e assurdo incolpare e reprimere un popolo che si è sacrificato e che per decenni ha dato tutto per sostenere un regime da cui poi alla fine viene incarcerato”. Ma Milanés, che ha sempre ribadito il valore storico della rivoluzione cubana, nel giugno scorso, dopo gli anni del Covid, è tornato ad esibirsi a Cuba in un concerto presentato con il concorso di diverse istituzioni cubane. Nel 2006, in un incontro a Milano con giornalisti, Milanés aveva detto: “Credo che a Cuba si siano seminate tante belle cose, che sono incancellabili dalla memoria del cubano. Poi ci sono stati gli errori commessi successivamente, le cose che io adesso critico: perché, pur con tutte le lodi che rivolgo alla rivoluzione cubana, sono anche molto critico. Ma penso che ci siano cose che sono rimaste nella storia, e che il cubano che ha buona memoria non può dimenticare: rimangono queste cose belle per le quali, lo confesso sinceramente, morirei ancora oggi”.

  • Autore articolo
    Marcello Lorrai
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    Un debutto interessante quello dei Satantango, nuovo progetto shoegaze proveniente dalla provincia cremonese. Il duo, composto da Valentina e Gianmarco, è oggi passato a Volume per raccontare e suonare in acustico alcuni brani del nuovo album “Satantango”. Il titolo è lo stesso di un film ungherese del 1994 della durata di oltre sette ore: “l’ambientazione e le atmosfere sono molto simili a quelle che ci sono nei nostri posti”, spiega il duo. Tra shoegaze, dream pop e slowcore, l’album dipinge un immaginario bianco e nero tra malinconie di provincia e nebbia, cinema chiusi e un senso di innocenza perduta, ed è ricco di riferimenti a pellicole vintage come “Gioventù Amore e Rabbia”. L'intervista di Elisa Graci e Dario Grande e il MiniLive dei Satantango.

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