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A Ventimiglia spente le telecamere si torna alla tragica quotidianità

Dall’estate del 2015 ogni treno che passa questo confine viene controllato dalla polizia francese che rimanda indietro chi non è in regola con i documenti. Un primo controllo visivo viene fatto anche dalla polizia italiana sul binario di partenza a Ventimiglia. Poi il treno parte, ma a velocità ridotta perchè negli anni decine di migranti si sono feriti o sono morti cercando di aggrapparsi al treno in corsa o percorrendo a piedi i binari della ferrovia. In due punti c’è un ulteriore rallentamento: quando si passa sul ponte sopra al fiume Roja, un punto sensibile per il passaggio dei migranti, e quando il treno entra nelle gallerie che anticipano l’ingresso in Francia.

Nelle gallerie infatti potrebbe esserci qualcuno che sta camminando lungo i binari e il treno deve rallentare ulteriormente. Arrivati a Menton-Garavan tutti il treno si ferma per alcuni minuti e salgono tre/quattro poliziotti francesi: davanti, dietro e in mezzo al convoglio. I passeggeri che sembrano irregolari, quelli che sembrano senza documenti, vengono fatti scendere e controllati sui binari. Nel mio viaggio è capitato a un gruppetto di ragazzi e a due ragazze piuttosto giovani, probabilmente minorenni. Uno dei ragazzi mi è sembrato particolarmente stanco e scosso, aveva un asciugamano sulle spalle e dai lineamenti sembrava provenire dall’Africa centrale. A seconda dei casi, o del caso, vengono poi rimessi sul primo treno per l’Italia oppure portati alla frontiera alta di Ventimiglia, a Ponte San Luigi, dove vengono scaricati con in mano il foglio di respingimento dalla Francia e consegnati alla polizia italiana che, salutati i gendarmi francesi, dice ai migranti di avviarsi a piedi verso Ventimiglia. Succede così più volte al giorno.

È la quotidianità del confine che qui è pattugliato dai francesi da ormai sette anni, da quando il governo francese ha sospeso il trattato di Schengen sulla libera circolazione europea nei giorni dalla protesta sugli scogli dei balzi rossi, con centinaia di migranti accampati su quel lembo di sassi e sabbia. La Francia rinnova la sospensione di Schengen ogni sei mesi e usa il controllo del confine in base alle necessità di politica interna. I comuni del sud che confinano con l’Italia hanno visto crescere negli anni i consensi per il Front National -oggi Rassemblement National- di Marine Le Pen e il presidente Macron ciclicamente mostra i muscoli da queste parti. Gli attivisti No Border italiani ricordano come nel periodo delle proteste dei Gilets Jaunes la frontiera era quasi sguarnita perchè poliziotti e gendarmerie erano impegnati sul fronte interno. O quando vennero dirottati al confine spagnolo per alcuni mesi di flusso straordinario dalla Spagna. Anche durante la pandemia Covid i controlli si sono allentati e il passaggio nel 2020 è stato relativamente semplice. Poi, complici le elezioni presidenziali, i controlli sono ripresi in modo più consistente e la media dei respingimenti è tornata ad attestarsi sui 70 al giorno.

Ma da Ventimiglia, tentativo dopo tentativo, quasi tutti poi riescono a varcare il confine, anche se il rischio di farsi male aumenta nei momenti di maggior controllo. La via più battuta in questi mesi è il sentiero di montagna che porta in Francia dal cosiddetto “passo della morte”. Da venerdì, come ritorsione alla crisi innescata dallo sbarco della Ocean Viking su suolo francese, è tornato ad essere uno di quei momenti con controlli più consistenti e soprattutto visibili, in particolare alla frontiera bassa affollata dai giornalisti. Macron ha voluto che tutti i transitanti dal confine si accorgessero del pugno duro verso l’Italia. L’effetto è stato di code d’auto di lavoratori frontalieri arrabbiati per i controlli e i rallentamenti. Il picco domenica pomeriggio quando per qualche ora la gendarmerie ha controllato anche i passaporti, una misura spot a beneficio dei media ritirata nel giro di qualche ripresa televisiva. E spente le telecamere, ora tutto sta tornando alla sua tragica ordinarietà.

  • Autore articolo
    Roberto Maggioni
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    L’Europa e il bellicismo crescente delle sue classi dirigenti. L’ultimo caso, quello dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone e la postura aggressiva che dovrebbe tenere la Nato. Cosa possono fare il pensiero e la cultura della pace per contrastare l’escalation bellicista e la normalizzazione della violenza? Le risposte possono non essere quelle consuete, soprattutto perché in Occidente stiamo assistendo ad un cambio delle coordinate geopolitiche costruite negli ultimi ottant’anni. Un esempio. Il settimanale «The Economist» ha scritto nella sua rubrica di geopolitica «The Telegram» apparsa oggi sulle pagine online: «In Europa le preoccupazioni per l’inaffidabilità dell’America sotto Donald Trump stanno lasciando il posto a un timore più grande: che, pur presentandosi come il campione della civiltà occidentale, egli consideri ormai le democrazie occidentali reali come avversarie. “Nella Washington di oggi” - scrive il nostro editorialista di The Telegram - l’Europa “è spesso descritta con maggiore disprezzo rispetto alla Cina o alla Russia”. Pubblica oggi ha ospitato Donatella Della Porta, scienziata della politica, e Agostino Giovagnoli, storico.

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