
Il premier Netanyahu ha esaudito il sogno dei coloni: il ritorno a Gaza. Nell’agosto del 2005 furono cacciati dalla Striscia dopo il disimpegno militare deciso dall’allora premier Ariel Sharon. Alla fine l’occupazione della Striscia fa comodo a tutti i membri del gabinetto di sicurezza che si è riunito ieri sera. Netanyahu ha la sua guerra perenne per sfuggire alla giustizia del suo Paese. I suoi alleati suprematisti Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich hanno portato a casa il loro progetto di ricolonizzazione della Striscia.
I vertici militari – nonostante le dure riserve emesse negli ultimi giorni contro il piano del premier – hanno accettato di andare avanti a scapito di tutto: la morte degli ostaggi, una nuova importante mobilitazione dei riservisti ormai allo stremo, i rischi per i soldati che devono affrontare una guerra urbana tra le macerie di Gaza city. In queste ore drammatiche, che segnano una nuova tappa nella sofferenza della popolazione di Gaza, il silenzio della comunità internazionale diventa a tutti gli effetti un atto di complicità nel genocidio in corso.
L’unica voce autorevole che si sta opponendo decisamente alla fuga in avanti di Netanyahu è quella delle migliaia di leader delle comunità ebraiche di tutto il mondo, tra cui personalità di spicco del Nord America e del Regno Unito. Hanno firmato una lettera indirizzata al premier avvertendo che le politiche e la retorica del suo Governo stanno causando “danni duraturi” sia a Israele che all’ebraismo mondiale e stanno alimentando l’antisemitismo.
I firmatari hanno esortato Netanyahu a garantire la fornitura di cibo e aiuti umanitari ai residenti di Gaza, a raggiungere un accordo per la restituzione di tutti gli ostaggi e la fine della guerra, e a impegnarsi chiaramente affinché Israele non tenti di reinsediare Gaza né persegua o sostenga politiche di espulsione dei civili palestinesi. La lettera invita, inoltre, Netanyahu a reprimere la violenza estremista ebraica in Cisgiordania.