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Cuba, gli Usa, il bloqueo e la UE

Per Cuba si è materializzato lo scenario peggiore: anche se i vertici cubani ostentavano di non farsi troppe illusioni anche su una presidenza Clinton. Alla luce dell’elezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti si ridimensiona il valore “storico” che molti hanno con un po’ troppa enfasi attribuito all’atteggiamento degli Stati Uniti in occasione, mercoledì 26 ottobre, del voto all’Onu sulla proposta di risoluzione, presentata da Cuba, per mettere fine all’embargo Usa contro l’isola: per la prima volta gli Stati Uniti non hanno votato contro e hanno scelto l’astensione, seguiti da Israele, che in questo voto ha sempre formato con gli Usa un tandem d’acciaio.

La mozione di condanna dell’embargo non ha così registrato nessun voto contrario: 191 voti a favore e due astenuti. Ma il risultato delle presidenziali americane mette adesso tutto a rischio. Nella nuova situazione che si è creata questa notte appare, se ce ne fosse stato bisogno, assai giudiziosa l’insistenza di Raul Castro per una rapida implementazione, dopo la ripresa delle relazioni diplomatiche, della normalizzazione dei rapporti Usa-Cuba, con la completa eliminazione dell’embargo (e la restituzione a Cuba del territorio occupato dalla base di Guantanamo): in modo da “mettere in sicurezza”, per ogni evenienza, la normalizzazione. Invece la presidenza Obama si conclude lasciando le cose pericolosamente a metà, e il bloqueo, pur attenuato dai provvedimenti voluti dal primo presidente afroamericano, continua ad essere vigente e a produrre effetti negativi per Cuba. Le parole di Trump in materia di politica internazionale nel primo discorso dopo la vittoria – “andremo d’accordo con tutti coloro che vorranno andare d’accordo con noi” – non suonano da questo punto di vista esattamente rassicuranti: per la destra repubblicana, per i falchi anti-castristi come Marco Rubio, una Cuba che “va d’accordo” con gli Usa vuole dire una Cuba che subisce un cambio politico. Gli Usa potrebbero ricominciare a puntare sull’ingerenza nella vita politica cubana e sull’opposizione interna, cioè proprio sull’opzione che Obama ha abbandonato, con la conseguenza anche di indebolire, di consegnare ad una sostanziale irrilevanza, i “dissidenti”. I nuovi equilibri, con la maggioranza repubblicana al Senato e alla Camera, non sono una buona premessa, come non lo è la vittoria di Trump in Florida, storico bastione di cubano-americani anti-castristi, ai quali Trump potrebbe essere sensibile, e restituire il favore dell’appoggio ricevuto. Pur se non si può escludere che Trump possa essere sensibile anche alle ragioni di portafoglio dei settori economici e di affari americani interessati ad aprirsi con la fine del bloqueo un nuovo mercato e un nuovo campo di azione.

“Il candidato repubblicano è un matto – ci diceva due settimane prima delle presidenziali americane, e prima del voto all’Onu, Pedro Noel Carrillo del Dipartimento Europa del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba, in visita nell’Unione Europea per contatti e iniziative, che abbiamo incontrato a Milano – e non si sa che politica estera potrebbe fare: su Cuba una volta ha detto che quello che Obama aveva fatto andava bene ma che lui lo avrebbe fatto meglio, e un mese dopo a Miami ha detto che ritirerebbe tutti i provvedimenti di Obama e che romperebbe anche, di nuovo, le relazioni diplomatiche”.

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Sullo spettacolo offerto dalla campagna presidenziale americana, Carrillo aveva espresso una valutazione che combacia con gli aggettivi usati per definirla sul Granma di ieri: “a Cuba stiamo guardando queste elezioni credo alla stessa maniera di come le sta guardando tutto il mondo: con orrore. E’ una campagna presidenziale quanto mai antidemocratica e apolitica, che purtroppo, visto che stiamo parlando della massima superpotenza, avrà un impatto su tutto il mondo”. Molto critico anche il parere sulla situazione in caso di vittoria democratica: “La Clinton invece ha detto che continuerebbe questo processo, ma voglio solo ricordare che i peggiori momenti nelle relazioni fra Cuba e Stati Uniti sono stati con presidenze democratiche: con Kennedy c’è stata la Baia dei Porci, con Bill Clinton il bloqueo si è trasformato in legge. Noi siamo disposti ad accettare il rischio, la sfida che implica questa relazione: le relazioni sono sempre più positive di un confronto frontale e totale. Noi non abbiamo vocazioni suicide: una guerra con gli Stati Uniti implicherebbe probabilmente una grave distruzione del paese. Sappiamo che è molto difficile raggiungere la normalizzazione: ma noi lavoriamo seriamente per questo obiettivo. Gli Stati Uniti non tengono relazioni normali con nessuno: quindi sarebbe un po’ pretenzioso pensare di riuscire ad averne noi, però, insisto, lavoriamo per questo fine. Per noi ci sono però delle cose che sono di principio: non si può avere una relazione normale in presenza di un bloqueo e di una aggressione economica, e con qualcuno che occupa parte del tuo territorio in maniera illegale, la base di Guantanamo”.

Intanto molti pensano che per via della ripresa dei rapporti diplomatici tra Cuba e Stati Uniti il bloqueo non ci sia più, ma invece il bloqueo continua. “Penso che la stampa e i media abbiano giocato un ruolo di appoggio alla politica nordamericana che mira a confondere la sinistra e chi è solidale con Cuba. Quello che effettivamente è avvenuto è il ristabilimento delle relazioni fra Cuba e Stati Uniti e che il presidente Obama ha preso alcuni provvedimenti che facilitano alcuni tipi di contatto, di tipo accademico, economico, eccetera. E questo è apparso come un processo di normalizzazione e di smantellamento del bloqueo: ma non è esattamente così… Il bloqueo permane perché è un sistema di leggi che con la Presidenza Bill Clinton è diventato una potestà del Congresso, che solo il Congresso degli Stati Uniti può eliminare, e questo è complesso perché molte di queste leggi fanno parte di leggi più generali del sistema economico nordamericano. Occorrerebbe innanzitutto una volontà politica, che oggi nel Congresso non esiste”. E che con i risultati delle elezioni americane sembra adesso ancora più difficile che si manifesti.

“Quello che il governo nordamericano ha fatto fino a questo momento è stato di introdurre delle facilitazioni di cui secondo la nostra opinione sono soprattutto gli stessi Stati Uniti a beneficiare.   Diciamo che sono dei provvedimenti positivi: perché se per esempio possiamo comprare dei generi alimentari negli Stati Uniti e non siamo costretti a pagarli anticipatamente in cash, questo è positivo. Ma non è sufficiente, perché per poter comprare bisogna anche vendere, il commercio lo si fa nei due sensi, e fino ad ora questo non avviene. Ci sono degli altri aspetti, che sono i più gravi: noi non possiamo utilizzare il dollaro nordamericano né possiamo utilizzare il sistema bancario internazionale laddove gli Stati Uniti vi tengano una qualche partecipazione: come in quasi tutte le banche del mondo. E questo ci rende la vita più difficile. Questo pregiudica molto l’economia cubana e questo non è finito. Quando Obama è stato a Cuba il governo americano ha annunciato che si sarebbe potuto utilizzare il dollaro: ma fino ad ora è stato impossibile: anche degli annunci che sono stati fatti non si sono trasformati in realtà. Non abbiamo un conto corrispondente negli Stati Uniti: quindi non possiamo pagare con un trasferimento negli Stati Uniti: anche se possiamo comprare senza pagare in cash, come paghiamo ? Dobbiamo per esempio mandare il denaro in Italia, perché l’Italia lo trasferisca negli Usa, con passaggi dal dollaro all’euro, e tutto questo è complicato. Questa è la situazione, e credo che l’intenzione sia esattamente di confondere le acque, demotivare, smobilitare la solidarietà con Cuba, e soprattutto danneggiare la sinistra, perché anche senza che noi lo vogliamo Cuba è un riferimento per la sinistra latinoamericana e per la sinistra a livello internazionale. Non c’è altra scelta che continuare la lotta contro il bloqueo, e denunciarlo. L’appoggio alla risoluzione delle Nazioni Unite contro il bloqueo mostra che si tratta di una causa logica e giusta. Ma tutto dipende dal Congresso”.

Nella nuova fase che si apre con l’elezione di Trump, oltre a tutto in presenza della crisi del ciclo progressista in America Latina, che ha privato Cuba di importanti interlocutori, e delle difficoltà di un partner privilegiato come il Venezuela, per Cuba diventa a maggior ragione estremamente importante il rapporto con l’Unione Europea. Nel 2003 le relazioni di Cuba con la UE toccarono il punto più basso, oggi lo stato dei rapporti è molto più positivo. “Con l’Europa alcuni anni fa c’è stato un momento molto difficile, molto complicato. Adesso le relazioni sono migliorate molto.

Naturalmente non rappresento il ministero degli Esteri, ma anche come Partito riteniamo che stiamo attraversando il migliore momento delle relazioni tra l’Unione Europea e Cuba. Quella che era chiamata ‘posizione comune’ che fu applicata nel 2003 rappresentò in un certo modo un appoggio europeo al bloqueo  nordamericano, perché implicava anche sanzioni, soprattutto sanzioni politiche, e questo supportava la logica del bloqueo. La ‘posizione comune’ in realtà non è mai stata comune: è stata una posizione che è stata introdotta dalla estrema destra spagnola, il governo di Aznar, e che molti paesi europei in effetti non hanno mai rispettato. Questo era la dimostrazione che la ‘posizione comune’ era qualcosa che la estrema destra aveva fatto passare come di contrabbando dentro l’Unione Europea, ma tuttavia si trattava di un documento ufficiale, che produceva degli effetti, la UE proibiva per esempio che delegazioni di alto livello potessero venire in visita a Cuba, e c’erano ostacoli alla cooperazione. Questo stato di cose è stato smantellato via via nei rapporti bilaterali con diversi paesi, si è ristabilita la cooperazione, per esempio con l’Italia, con documenti che prevedevano il rispetto mutuo. Ma erano accordi che si facevano con singoli paesi membri e non con l’UE come tale. Adesso invece, dopo un negoziato con la UE, stiamo in attesa che la Commissione Europea elimini la ‘posizione comune’. L’Europa per Cuba è un interlocutore molto importante, il dialogo è antico, i rapporti sono di rilievo in tutti gli ambiti, commerciali, culturali, accademici. E’ logico quindi che ci sia questo accordo che normalizza le relazioni: almeno con l’Europa le normalizziamo davvero…”.

  • Autore articolo
    Marcello Lorrai
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    “La riflessione su cosa sia un padre, su cosa sia il dolore tormentato per una persona che sembra abbia rinunciato a vivere e l’apertura verso gli altri. Il confronto tra un borghese di Roma Nord con una relata giovanile che vorrebbe cambiare il mondo”. Riassume così il regista Paolo Virzì gli elementi centrali del film “Cinque secondi”. Adriano Sereni, il protagonista del film interpretato da Valerio Mastandrea, si isola dal mondo per elaborare un trauma pesantissimo. “Il personaggio fa un percorso che ho sentito che mi avrebbe complicato le cose – spiega Mastandrea - perché mi avrebbe fatto rinunciare ad alcune abitudini che in genere metto in campo quando lavoro”. Nella sua analisi quasi psicologica Paolo Virzì racconta: “Mi ha sorpreso quanto assomigliamo alla natura, al paesaggio, alla terra e come i nostri stati d’animo si adeguino a questi”. Ascolta le interviste di Barbara Sorrentini a Paolo Virzì e Valerio Mastandrea.

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