Al presidio organizzato ieri davanti alla Prefettura di Torino, chi conosce Mohamed Shahin lo descrive come un uomo di pace e di dialogo. Nella notte di due giorni fa è stato prelevato dalla sua casa, per essere espulso dal territorio italiano, per “motivi di sicurezza dello Stato e di prevenzione del terrorismo” con un provvedimento firmato dal ministro Piantedosi.
La sua colpa sarebbe quella di aver detto al microfono, durante una manifestazione del 9 ottobre, che il “7 ottobre è stata una reazione”, “e che violenza lo sono state le guerre prima e il genocidio”. L’Imam ha poi successivamente dichiarato all’Ansa che non è vero che giustifica il 7 ottobre, ma va visto associato alle violenze delle guerre precedenti. Ora l’uomo che per 12 ore è risultato scomparso, senza che gli avvocati e la famiglia, la moglie e due bambini, sapessero dove si trovasse, è detenuto nel Cpr di Caltanissetta, nonostante il centro di Torino non fosse al completo.
Shahin di origine egiziana è un aperto contestatore del regime di Al Sisi, perseguitato nel suo paese, ha chiesto ora asilo politico. “Se venisse espatriato finirebbe in galera, torturato e ucciso, come Giulio Regeni”, denuncia la piazza, presenti rappresentanti di Avs, M5S e Pd, la chiesa Valdese, l’Anpi, movimenti cittadini e centinaia di persone. Attivo in questi due anni in sostegno alla Palestina, Shahin è incensurato, non ha mai ricevuto denunce, ricordato da tutti per aver aperto la sua moschea a tutti, ha parlato negli anni nelle scuole, nelle chiese e in sinagoga.
di Rita Rapisardi


