Le fotografie e il ritratto di Ramy Elgaml, il suo nome gridato e ripetuto al cielo all’incrocio tra via Quaranta e via Ripamonti, a Milano. È un percorso luttuoso quello che ha unito i familiari di Ramy, gli amici e le persone che hanno partecipato alle iniziative di ricordo a un anno dalla morte del 19enne. Prima il cammino dal quartiere Corvetto, da piazzale Ferrara, verso il luogo dell’incidente: i fiori intrecciati sui pali dei semafori vicino a dove Ramy è morto, le lacrime del papà, della mamma e dei fratelli sotto la pioggia. Poi il passaggio in via dei Cinquecento dove è stata scoperta una targa con il nome di Ramy. A chiudere un momento di musica in piazzale Gabrio Rosa, una tappa dedicata ai tanti giovani e giovanissimi che ricordano il loro amico. Le strade di Corvetto, il quartiere dove Ramy ha vissuto, dove vive la sua famiglia, sono ancora una volta le protagoniste come lo furono un anno fa, come lo sono ogni giorno per le persone che qua hanno la loro casa e cercano di costruirsi un futuro in mezzo a mille ostacoli. “In una città – ha detto un amico di Ramy al microfono sul luogo dell’incidente – dove tante, troppe persone si allontanano da chi vive in quartieri come questo e poi sono pronte a giudicare”. Il papà di Ramy, Yehia Elgaml, aveva invitato il sindaco di Milano a partecipare a questa serata, dopo che nei mesi scorsi era stato accolto a palazzo Marino e aveva ricevuto solidarietà. L’invito del papà di Ramy, però, non ha avuto risposta.
Sul piano giudiziario 365 giorni non sono stati sufficienti per dare inizio al processo sulla morte di Ramy. L’inseguimento di otto chilometri per le strade di Milano da parte di tre pattuglie dei carabinieri, mentre era in scooter insieme all’amico Fares Bouzidi, ancora non conosce il suo destino giudiziario. Le indagini per omicidio stradale sono chiuse da quattro mesi, ma la procura ancora non ha presentato nessuna richiesta di rinvio a giudizio. I pubblici ministeri hanno avanzato l’ipotesi di un concorso in omicidio stradale tra Fares Bouzidi e Antonio Lenoci, il carabiniere alla guida dell’auto. Cinque consulenze non sono, però, fin qui state sufficienti ai pm per farsi un’idea chiara sugli attimi che hanno preceduto la caduta dello scooter, se sia stato un urto provocato dall’auto dei carabinieri a causare l’incidente. Un secondo filone d’indagine vede indagati quattro carabinieri per depistaggio. Due avrebbero fatto cancellare a Omar, il testimone che si trovava vicino all’incrocio quando lo scooter è caduto, il video in cui avrebbe ripreso i momenti finali dell’inseguimento. Quell’inseguimento di cui restano le immagini e le parole pubblicate dal Tg3 lo scorso gennaio che mostravano i carabinieri di una delle pattuglie imprecare perché non riuscivano a speronare lo scooter. Le prime ricostruzioni volevano rappresentare Ramy come un ladro, un delinquente scappato davanti a un posto di blocco. Ci sono volute le mobilitazioni degli amici del quartiere Corvetto per dimostrare che non era così. Un anno dopo quelle stesse persone sono tornate a manifestare. Gli appelli alla verità della famiglia di Ramy, un anno dopo, rischiano di cadere nel vuoto.
“Un anno dopo non c’è ancora un processo” dice Barbara Indovina, avvocata della famiglia di Ramy Elgaml.


