Il piano di pace di Donald Trump per Gaza ottiene un primo importante via libera politico e legale dal Consiglio di sicurezza dell’ONU. Le risoluzioni del Consiglio hanno valore di legge internazionale, cioè sono legalmente vincolanti. Quindi, si tratta soprattutto di una importante e significativa vittoria diplomatica per Trump. Su Gaza nel passato gli Stati Uniti si erano trovati spesso isolati. Questa volta, invece, l’amministrazione è stata capace di creare e di costruire consenso, tranne – verrebbe da dire – in chi la guerra l’ha combattuta, cioè Israele e Hamas. A Israele non piace che nel piano vi sia la possibilità, solo la possibilità, senza alcun orizzonte temporale, di un futuro Stato di Palestina. Hamas, invece, non accetta che la International Stabilization Force, cui verrà demandata la gestione della sicurezza e dei primi atti di governo, avrà tra i suoi compiti quello di disarmare tutti i gruppi non governativi, quindi anche Hamas. Per questo, appunto, il piano prevede l’addestramento di un’autonoma polizia palestinese e al momento un – piuttosto fumoso – board of peace, cioè un consiglio di pace presieduto da Trump stesso, cui toccherà di sovrintendere al lavoro di un corpo di tecnocrati palestinesi, che dovranno gestire la ricostruzione della Striscia. In futuro, appunto, potrebbe essere l’Autorità palestinese, se riformata, ad assumere il governo. I diplomatici americani sono riusciti a creare consenso con un lavoro certosino attorno al piano spiegando che il suo rigetto avrebbe comportato la ripresa del conflitto. È stato così che, alla fine, è arrivato il sostegno dei paesi musulmani, come Egitto, Giordania, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Algeria, ma anche Indonesia, Turchia, Pakistan che avrebbero preferito un impegno più deciso a favore dello Stato palestinese, ma che alla fine hanno deciso di privilegiare quello che il piano fa, ovvero, porre fine al massacro e indicare una via per la stabilizzazione di Gaza. Restano diverse incognite, tra queste, anche chi parteciperà a come agirà la forza di stabilizzazione internazionale. Trump dice di aver ricevuto la disponibilità a parteciparvi di molti paesi, tra cui Egitto, Turchia, Indonesia, Emirati Arabi, i cui militari saranno disponibili a usare la forza per costringere Hamas a smilitarizzare. Un conflitto armato con Hamas, infatti, non è una cosa che le opinioni pubbliche di quei Paesi accetterebbero facilmente. L’altra questione, la più importante, è proprio il ruolo di Hamas nel futuro di Gaza. Il piano di Trump non prevede alcun ruolo. Hamas, però, non è disponibile né a deporre le armi né a rinunciare al controllo politico amministrativo. Hamas denuncia, infatti, la perdita di sovranità palestinese a Gaza. Si tratta di questioni che dovranno essere risolte da una nuova fase negoziale che si annuncia lunga e tortuosa.


