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Non solo Trentini. Il caso di Biagio Pilieri, italiano detenuto in Venezuela

Il caso di Biagio Pilieri

Biagio Pilieri è un giornalista italo-venezuelano con doppio passaporto, ed è anche il leader del partito moderato di opposizione Convergencia. Più volte ha denunciato la chiusura degli organi di informazione e la censura nell’editoria locale, fino a quando, il 28 agosto 2024, è stato arrestato per aver partecipato ad una manifestazione di protesta. Da allora è detenuto nel carcere di El Helicoide a Caracas con le accuse di terrorismo e tradimento della patria.

Dal giorno della sua incarcerazione non ha potuto né parlare né tantomeno incontrare la moglie Maria Livia Vitale e i due figli Vicente e Jesus. Nessuna visita consolare: il governo venezuelano non ha mai risposto alle richieste avanzate dalla Diplomazia italiana. Anche la nomina di un legale che lo rappresenti e che possa varcare le porte della prigione per fargli visita è stata rigettata.

Alla Tumba, così viene chiamato il carcere di massima sicurezza di El Helicoide, conosciuto fuori dai confini venezuelani per il ricorso alla tortura e per violazioni sistematiche della dignità umana, i detenuti passano 24 ore al giorno vigilati da telecamere e microfoni; le porte della cella rimangono aperte mettendo a rischio la sicurezza dei prigionieri. La Commissione Interamericana per i Diritti Umani, attraverso una propria risoluzione, ha concesso a Pilieri misure cautelari, affetto – denunciano i familiari – da serie patologie. Ma le autorità di Caracas ignorano la risoluzione e continuano a negare cure mediche e visite in carcere della moglie e dei figli.

Ecco il racconto che ha fatto Vicente Pilieri, figlio di Biagio, a Lorenzo Marcandalli.

La località dove vivete, Yarucuy, è parecchio lontana da Caracas e far sentire la vostra vicinanza a vostro padre diventa problematico. Quante volte riuscite a recarvi a El Helicoide?

Prima andavamo due volte a settimana ma da un poco più di un mese è cambiato il regolamento e possiamo andarci solo una volta. Portiamo beni di prima necessità come medicine, cibo, cose per l’igiene e poi il cambio dei vestiti. Come ho detto solo una volta alla settimana, il venerdì. Per noi non è semplice, sono più di 4 ore di viaggio all’andata e quattro al ritorno. Quando hanno arrestato mio padre hanno sequestrato anche la sua macchina, poi in un sopralluogo successivo a casa le forze dell’ordine hanno portato via anche l’altra macchina. Siamo quindi senza mezzi e dobbiamo chiedere passaggi o affittare un veicolo, partiamo il giovedì e torniamo il sabato.

Quando vi recate a El Helicoide riuscite a incontrare o a parlare con vostro padre?

No, in tutti questi 385 giorni non ci hanno mai fatto vedere mio padre, né a noi ne a nostra madre, nonostante le richieste che facciamo ogni volta. La risposta è sempre la stessa: non sono permesse visite, inoltre la nonna materna è malata di tumore, dobbiamo dividerci per non lasciarla sola e nel contempo dobbiamo recarci a Caracas in carcere. Come ho detto, a mio padre servono medicine, soffre di ipertensione, fibromialgia e problemi gastrointestinali.

Avete fatto appelli alle autorità venezuelane? Siete in contatto con qualche funzionario governativo?

I funzionari non sono accessibili. Abbiamo mandato anche diversi documenti ai tre enti di giustizia: Tribunal De Justicia, Ministerio Pubblico e Defensoria del Pueblo, ma non abbiamo ricevuto alcuna risposta.

Avete nominato un legale che possa difendere vostro padre?

Non gli è permesso avere un avvocato privato perché lo Stato fornisce un avvocato d’ufficio. Mio padre è giornalista da 30 anni, ha sempre avuto il suo avvocato di famiglia che l’ha sempre seguito, ma nonostante le richieste non è stato possibile per lui assumere il caso.

Tuo padre ha svolto per anni attività politica (ndr: a questo punto Vincente mi interrompe, preferisce non entrare nel merito delle vicende interne ed internazionali che stanno in queste settimane coinvolgendo il Venezuela)

Non siamo politici noi, non ci compete trattare il tema; chiediamo solamente che si mettano in atto tutti gli sforzi, come hanno fatto Svizzera, Stati Uniti, Spagna e Colombia, per liberare i propri connazionali.

A che punto sono i rapporti con il governo italiano? Quale supporto ricevete?

Siamo in contatto dall’inizio sia con l’Ambasciata italiana che con il Consolato in Venezuela e anche con la Farnesina. Vorrei fare un appello a tutta la politica italiana di sinistra, di destra e di centro. Chiedo a tutti di fare ogni sforzo necessario per la liberazione di mio padre e di non lasciare la responsabilità solo al Governo.

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