
L’uso del linguaggio d’odio e delle fake news in politica è nel mirino della stampa internazionale, soprattutto dopo l’omicidio, negli Stati Uniti, dell’attivista della destra radicale Charlie Kirk. Un delitto che racconta due aspetti della società statunitense: una deriva drammatica in materia di salute mentale, potenziata dall’ideologia dell’odio, e le conseguenze della facilità con cui è possibile acquistare legalmente armi da guerra. Ma di questo non si parla, perché la morte di Kirk sta alimentando le centrali della disinformazione che la attribuiscono, senza ombra di dubbi, a una “sinistra violenta” che nella realtà non esiste più praticamente in nessuna parte del mondo. Siamo di fronte a una narrazione che riesce a imporsi su scala internazionale, sdoganando l’idea che piccole minoranze siano rappresentative di intere categorie. Se è vero che qualche leone da tastiera ha esultato sui social network per l’assassinio di Kirk, è ridicolo immaginare che sia rappresentativo di un sentimento condiviso in un mondo così vasto e variegato come quello della sinistra.
Lo stesso si può dire a parti invertite: se è vero che esiste una destra ultraradicale che ricorre alla violenza politica e che qualcuno la giustifica, è falso che questi gruppi rappresentino l’enorme massa di persone che vota conservatore.
Questa rappresentazione distorta che riesce a presentare la radicalità, soprattutto virtuale, come se fosse il volto della politica “vera” è il capolavoro della nuova destra, che di fatto governa pochi Paesi, e uno solo davvero importante, gli Stati Uniti.
Ungheria, Slovacchia, Argentina sono Stati totalmente marginali per peso e ruolo; solo l’Italia si situa in una posizione intermedia, ma la composizione della maggioranza di governo in qualche modo stempera le punte estreme. Almeno per
ora.
I social sono diventati i moltiplicatori perfetti per l’affermazione planetaria di questo modo di fare politica, che è solo apparentemente nuovo. L’insulto, la frase razzista, l’attacco personale e la delegittimazione dell’avversario non sono certo espedienti di recente invenzione: ma in questi anni si è permesso che dilagassero in rete e oggi risultano potenziati, così come, su altri fronti, si è lasciato che crescessero il terrorismo o il narcotraffico, per giustificare il ritorno a rapporti di forza misurati
soltanto sulla potenza militare.
In un clima del genere è sempre più difficile trovare mediazioni ai conflitti, quelli in corso come quelli latenti o potenziali. Gli accordi di Oslo del 1993 tra Israele e Palestina erano stati preceduti dal reciproco riconoscimento al diritto all’esistenza delle due entità. Il governo Netanyahu, ma anche Hamas, hanno fatto tornare indietro di decenni le lancette della storia negando all’avversario il diritto di esistere. Anche nella prima fase del conflitto ucraino la Russia metteva in discussione il diritto all’esistenza sovrana dello Stato vicino, accampando pseudo-motivazioni storiche.
D’altra parte, a Washington si parla di geopolitica senza riconoscere la sovranità altrui: accade per la Groenlandia e per il canale di Panama, ma anche quando si ipotizza di combattere il narcotraffico invadendo il Messico o il Venezuela.
Tutte queste politiche nascono dalla sistematica demolizione delle storiche istanze multilaterali, che avevano il pregio di mettere sullo stesso piano Paesi piccoli e grandi, ricchi e poveri. Una democrazia planetaria che oggi suona come debolezza:si dà per scontato che solo i potenti debbano guidare il mondo. Il punto è che ci sono molti potenti e ancor più prepotenti, e così il mondo non è più governato da nessuno. Siamo arrivati alla fase finale della transizione dal vecchio ordine, scaturito dalla Seconda guerra mondiale, a un nuovo assetto che tuttavia appare ancora incerto.
L’unica certezza è che alla base del caos odierno ci sono sempre le parole violente, la delegittimazione del rivale, la falsificazione della realtà che spaccia per maggioritarie posizioni minoritarie. I capisaldi di una nuova destra mondiale che, nella realtà, non ha ancora tanti voti, ma sta costruendo una nuova egemonia culturale.