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Il riconoscimento dello Stato palestinese. Per Gaza è troppo poco e troppo tardi

Gaza

La pressione internazionale su Israele sta aumentando ai massimi livelli dall’inizio della guerra a Gaza. In questi giorni diversi Paesi occidentali si stanno aggiungendo a quelli che hanno già riconosciuto lo Stato palestinese. Ormai la stragrande maggioranza della comunità internazionale.Netanyahu ha detto che uno stato palestinese non ci sarà mai e ha minacciato ritorsioni, che potrebbe annunciare il prossimo fine-settimana, dopo il suo internvento all’Assemblea Generale dell’ONU a New York e l’ennesimo incontro con Trump. Alcuni governi europei – anche quello tedesco, che per la storia dell’Olocausto non è tra quelli che stanno riconoscendo lo stato palestinese – hanno chiesto a Netanyahu di non annettere altri parti della Cisgiordania, come gli chiede invece l’estrema destra con lui al governo.

La pressione su Netanyahu dicevamo sta aumentando. E qui la Francia ha giocato un ruolo chiave. Ma non è assolutamente in grado di far cambiare idea al primo ministro israeliano, anche grazie al supporto di Trump. Siamo di fronte a un passaggio simbolico importante ma che non sta fermando il genocidio a Gaza.

In altre parole quello che sta succedendo in questi giorni sta mettendo a nudo le tante contraddizioni di questo passaggio storico. Vediamo alcuni esempi.Diversi Paesi europei, anche la Gran Bretagna, hanno preso le distanze dagli Stati Uniti e hanno deciso fosse arrivato il momento di fare questa mossa diplomatica, il riconoscimento appunto. Ma seppur si tratti di mossa solo simbolica non tutti hanno avuto il coraggio di farla. Abbiamo già citato la Germania ma c’è anche l’Italia.La scorsa settimana, il secondo esempio, la commissione europea aveva proposto la parziale sospensione degli accordi commerciali con Israele. Appunto sospensione parziale, sulla quale anche in questo caso non tutti sono d’accordo.E poi, nonostante le prese di posizione molto dure, c’è la questione della armi occidentali a Israele, senza le quali Netanyahu farebbe molta fatica a fare la guerra. Lo spagnolo Sanchez è tra i pochi leader ad aver assunto una posizione ferma.

L’evento con il quale la maggior parte della comunità internazionale sta chiedendo una soluzione con i due stati è la conferenza sulla Palestina a New York, alle Nazioni Unite, presieduta da Francia e Arabia Saudita. La presenza di Riad non è casuale. Macron ha insistito su questo proprio perché nei piani americani, non solo di Trump, i sauditi sarebbero la pedina in grado di stabilizzare il Medio Oriente. Il loro ingresso negli Accordi di Abramo – la normalizzazione dei rapporti tra Israele e Paesi arabi – in cambio appunto di uno Stato palestinese. Ma per il genocidio a Gaza e per la chiusura totale di Netanyahu la normalizzazione con i sauditi è ormai fuori agenda. Anzi, chi è già dentro quegli accordi, come gli Emirati Arabi, ha minacciato di poterne uscire.Però anche questo non basta a fermare Netanyahu, intenzionato a completare la totale distruzione della Striscia, che lui chiama sconfitta del terrorismo.

Aumenta l’isolamento internazionale di Israele. Questo è certo e potrebbe avere conseguenze regionali – le abbiamo appena citate – e anche interne – un’eventuale prossima sconfitta elettorale di Netanyahu. Ma per palestinesi di Gaza è troppo poco e arriva troppo tardi. Lo dimostrano le notizie che riceviamo ogni giorno dalla Striscia.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    Da Cortina a Milano in 12 giorni errando per antiche vie

    Errando per Antiche Vie è una grande azione performativa in cui artisti e pubblico percorrono a piedi la distanza che separa Cortina e Milano, tra il 5 e il 16 dicembre, a un mese dall’inizio delle Olimpiadi, per raccontare un territorio incredibile, contraddittorio che per la prima volta viene messo in luce dalle Olimpiadi. Un cammino lungo oltre 250 km, spettacoli teatrali e di danza, letture, pasti di comunità, incontri e dibattiti: un racconto della montagna fatto di sostenibilità, di protagonismo dei territori alpini e prealpini, di chi decide di vivere e lavorare in quota e nei territori periferici, al di là della spettacolarizzazione del momento olimpico. Michele Losi di Campsirago Residenza ha raccontato a Cult tutto il percorso. L'intervista di Ira Rubini.

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