
Abramo Rossi ha 101 anni, è seduto in prima fila nella sala dei Corazzieri, fa fatica a parlare ma cerca di raccontare la sua prigionia. I ricordi sono vividi, ma la voce è debole, “la guerra la fanno gli stupidi”, dice. È uno dei pochi internati militari ancora viventi, che racconta in prima persona cosa ha comportato quel No ripetuto decine di volte, ogni volta che i soldati tedeschi e poi quelli della Repubblica di Salò, dopo l’8 settembre del 1943, nella lunga deportazione dai Balcani fino in Germania, gli chiedevano di passare con loro, con i nazifascisti in cambio di cibo, coperte calde e un possibile ritorno a casa. Ma in 650 mila dissero di no e furono internati nei campi di detenzione e di lavoro in Germania e in Polonia, privati anche dello status di prigionieri da Hitler che non voleva rispettare le convenzioni di Ginevra sui prigionieri di guerra. Tre volte il numero dell’esercito italiano attuale, diceva la presidente di un’associazione questa mattina al Quirinale, dove il Capo dello Stato, in questa prima celebrazione della giornata in ricordo degli Internati militari, votata all’unanimità a gennaio di quest’anno, ha voluto ricordare il valore di questa resistenza dimenticata, “preziosa – ha detto il Presidente della Repubblica – per comprendere le radici del valore costituente della Resistenza”. Parole che servono a ribadire ciò che Sergio Mattarella non si stanca mai di ripetere e cioè che la Costituzione fonda le sue radici nella Resistenza, che “il fascismo – ha detto ancora oggi – si contrappone di fatto alla Nazione”. Quella parola, Nazione, che Giorgia Meloni ripete ogni volta nei suoi discorsi. Per decenni fu una Resistenza dimenticata, gli stessi internati fecero fatica a parlare di quel loro No, anche perché pochi esaltarono allora quella scelta, considerati a destra come traditori e a sinistra vissuta come una Resistenza di serie b, ma quella prigionia, quasi 50 mila soldati morirono nei campi di lavoro per le condizioni di vita pessime, determinò anche l’esito della guerra, privò di oltre 600 mila soldati l’esercito nazifascista e nei campi dove erano costretti a lavorare per Hitler furono in tanti, rischiando la vita ogni volta, a sabotare armi, carri e mezzi militari.