
Robert Redford, volto di un’epoca cinematografica, sorriso furbo e rassicurante, non solo sex symbol per più di una generazione, ma attore di grande talento e impegno politico, dentro e fuori dal cinema. Californiano con origini scozzesi e irlandesi, nato da famiglia umile, frantumata troppo presto, studi in Europa e anche in Italia. Tutto questo intorno ai 20 anni, compreso un periodo di alcolismo per la morte prematura della madre e la difficoltà di adattarsi al sistema sociale, lavorativo e politico dell’epoca. Con il ritorno negli USA, nel ‘58 Redford comincia a fare l’attore in tv: “Perry Mason”, “Ai confini della realtà”, “Alfred Hitchcock presenta”. Praticamente il meglio delle origini della serialità. E finalmente negli anni ‘60 arriva il cinema. Ci sono film politici, romantici, d’azione, avventurosi, western, investigativi, letterari, sportivi, sul crimine, la truffa, il carcere, la guerra. Con sodalizi prestigiosi, come quello con Sydney Pollack che lo ha diretto in numerosi film, tra cui: “Corvo rosso non avrai il mio scalpo!”, “Come eravamo”, “I tre giorni del condor”. E con gli attori, tra cui Paul Newman in “La stangata”, “Butch Cassidy”; Jane Fonda in “Il cavaliere elettrico”, “Le nostre anime di notte”; Marlon Brando in “La caccia”; Barbra Streisand. Robert Redford è stato anche regista: quante lacrime per “Gente Comune” (per cui vinse l’Oscar) o quanta rabbia civile in “Leoni per agnelli”. Ma ci sono molti altri film da lui diretti, passati anche dal suo Sundance Film Festival, creato nel 1990 con Sydney Pollack in una dispersa contea dello Utah, per promuovere il cinema indipendente. Diverse candidature agli Oscar, poi quello alla Carriera nel 2002 e nel 2017 il Leone d’Oro, sempre alla Carriera. Noto per il suo attivismo politico durante la guerra in Vietnam, per le lotte sull’ambiente ma c’è un film che dal punto di vista dell’impegno lo rappresenterà sempre ed è il meraviglioso “Tutti gli uomini del Presidente” di Alan J. Pakula. Anno 1976 Robert Redford e Dustin Hoffman nei panni dei due giornalisti Bernestein e Woodward, che con la loro inchiesta per il Washington Post, incastrarono il Presidente Nixon, in quello che passò alla storia come lo Scandalo Watergate.