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Due morti per il taser usato dai Carabinieri. La destra difende l’uso della pistola elettrica

Taser ANSA

Due carabinieri sono indagati per omicidio colposo a Genova per la morte di un uomo che era stato colpito con il taser, la pistola elettrica in dotazione alle forze di polizia. La vittima aveva 41 anni e i Carabinieri erano intervenuti perché stava tenendo un comportamento aggressivo in una frazione di Sant’Olcese, sulle alture di Genova. Ma l’avvocato della vittima ha denunciato che i carabinieri erano 4 contro 1 e chiede di verificare se l’uso del taser fosse davvero necessario.

È il secondo morto ucciso dalla pistola elettrica usata dai carabinieri dopo un 57enne ieri in Sardegna. E mentre Riccardo Magi di +Europa chiede che l’uso del taser venga sospeso, la Lega è scatenata. Ieri Salvini ha difeso i Carabinieri, oggi Silvia Sardone attacca le opposizioni per le perplessità sul taser. Tra i primi e i più decisi nel denunciare l’uso del taser c’è Amnesty International. Riccardo Noury è il portavoce di Amnesty Italia. L’intervista di Chawki Senouci.

Possiamo dire che avevamo ragione quando sostenevamo che si tratta di un’arma che deve essere usata con prudenza, a seguito di un percorso di formazione molto rigoroso, nella piena consapevolezza che la definizione di arma meno letale è ingannevole e con trasparenza rispetto al chiarimento sulle modalità con cui quel tipo di arma è stata usata, se era necessario o se c’erano modalità meno cruente. Tutto questo è affidato alle indagini che ci saranno. Io considero solo che ci sono stati due casi in due giorni consecutivi e tre casi se prendiamo un arco temporale di 3 mesi e mezzo. O è una coincidenza, di cui dubito, oppure semplicemente c’è un uso più disinvolto e abitudinario di questo tipo di arma, pensando che sia un’arma giocattolo o un’arma che non uccide, quando invece è un’arma che ha tutte le caratteristiche per uccidere.

Questa non è una pistola che si preme con l’intenzione di uccidere. Il carabiniere indagato aveva tutte le informazioni per usarla/non usarla? Questo potrebbe essere un tema.

Normalmente quel tipo di informazioni, soprattutto riguardo allo stato di salute complessivo e al quadro clinico della persona colpita da una scarica elettrica, si viene a sapere dopo. Quello che nell’immediato si percepisce è che c’è una minaccia e che quell’arma può servire a neutralizzare quella minaccia. Nel momento in cui la si usa, però, la persona che si ha di fronte è una perfetta sconosciuta dal punto di vista clinico. Amnesty International ha riscontrato casi di uso di queste armi che provocano ferite gravi, ma anche la morte, nei confronti di persone che hanno patologie, nei confronti di persone inseguite e dunque in affaticamento respiratorio, di persone che usano sostanze stupefacenti o persone con patologie cardiache sotto effetto di farmaci. Tutto questo non lo conosci quando utilizzi l’arma, lo scopri dopo che il colpo è stato sparato.

La soluzione dovrebbe essere l’abolizione di questa arma?

Almeno una sua regolamentazione molto rigorosa. Ci sono situazioni in cui risulta certamente meno letale rispetto a pistole ordinarie. Noi abbiamo esaminato negli Stati Uniti l’uso delle pistole a impulso elettrico nell’arco di poco più di 10 anni e ci sono stati circa mezzo migliaio di morti, che è un numero enorme ma è un numero molto più basso rispetto alle persone uccise dalla polizia con le pistole regolari. Quest’arma deve essere considerata potenzialmente letale e non deve essere mai e poi mai considerata un sostitutivo del manganello, cosa che rischia invece di essere, e bisogna sempre considerare, e questo lo dicono gli standard internazionali, se ci sono modalità alternative per rendere inoffensiva la persona che si ha di fronte.

Qual è la raccomandazione di Amnesty Italia?

Essere molto rigorosi nella formazione, mettere in guardia le persone che la usano dalla possibilità che abbia effetti mortali. È anche vero che alcune circostanze di alterazione possono essere già notate. Se una persona manifesta comportamenti violenti in stato di ubriachezza, questo è un segnale che probabilmente vanno usati metodi diversi perché può essere letale. Questo non significa dare via libera alle persone di disturbare l’ordine pubblico, significa usare la forza in modo responsabile, ricorrendo a determinate armi solo quando è strettamente necessario. Il fatto che ci sia l’impressione, per l’uso che se ne fa e per il numero di soggetti delle varie forze di polizia che la usano, che il suo uso sia ormai normalizzato ci porta a pensare che il numero delle persone uccise possa aumentare.

  • Autore articolo
    Chawki Senouci
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    È da poco uscito il secondo EP di Wayloz, artista italo-nigeriano che oggi è passato a trovarci a Volume per suonare alcuni brani. “Mentre nel precedente ep ho voluto catturare l’essenza di ciò che ero io con la chitarra in mano, qui c’è molto più spazio per gli arrangiamenti e per altri strumenti musicali”, spiega Wayloz. Tra folk primitivo, altrock, blues e suoni dell’Africa tribale, il disco è un viaggio tra atmosfere desertiche e rurali, che esplora il rapporto con la natura ma non solo: il titolo “We All Suffer” è più che altro un invito a riconoscere una condizione che è di tutti e a “trovare solidarietà e fratellanza con le altre persone”. L'intervista di Elisa Graci e Dario Grande e il MiniLive di Wayloz

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    Da Cortina a Milano in 12 giorni errando per antiche vie

    Errando per Antiche Vie è una grande azione performativa in cui artisti e pubblico percorrono a piedi la distanza che separa Cortina e Milano, tra il 5 e il 16 dicembre, a un mese dall’inizio delle Olimpiadi, per raccontare un territorio incredibile, contraddittorio che per la prima volta viene messo in luce dalle Olimpiadi. Un cammino lungo oltre 250 km, spettacoli teatrali e di danza, letture, pasti di comunità, incontri e dibattiti: un racconto della montagna fatto di sostenibilità, di protagonismo dei territori alpini e prealpini, di chi decide di vivere e lavorare in quota e nei territori periferici, al di là della spettacolarizzazione del momento olimpico. Michele Losi di Campsirago Residenza ha raccontato a Cult tutto il percorso. L'intervista di Ira Rubini.

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