
A Matteo Salvini non dev’essere sembrato vero. Di colpo una sequela di stereotipi si sono trasformati in realtà: quattro minorenni di un accampamento rom rubano un’auto, investono e uccidono una donna italiana. Per di più nell’estrema periferia di Milano, la città dove tra furti, violenze e reati, per la destra e la sua propaganda, vivere è diventato impossibile.
Per la vittima, Cecilia De Astis, 71 anni, giusto una riga e un pensiero. Di fronte a questa tragedia viene rispolverato gran parte del repertorio “salviniano”. Dal “campo rom” da “sgomberare subito” e poi “radere al suolo” (anche se i campi rom non c’entrano, i bambini vivono con le loro famiglie in un’area privata), agli “pseudo-genitori” (così li definisce Salvini) da “arrestare” e privare della “patria potestà”. Fino all’appello finale al sindaco Sala e alle “sinistre”: “ci siete???”.
La replica del sindaco definisce “vergognose” le speculazioni di “alti rappresentanti del governo” di fronte alla morte di una donna. Spostando il discorso sul tema degli insediamenti rom prova a entrare nel merito: 24 campi chiusi negli ultimi dodici anni, una rete di associazioni del Terzo settore che ogni giorno, a Milano, tenta di avvicinare le famiglie, le persone, i minorenni che vivono queste situazioni di marginalità. De-umanizzate e raccontate nel discorso pubblico quasi sempre e solo quando rappresentano un problema sociale. Un lavoro lungo, complesso da fare: a volte può rendere migliore la vita di qualcuno, a volte fallisce. Una questione che dovrebbe interrogare tutte le istituzioni, anche e soprattutto prefettura e ministero dell’Interno, il Governo. Ma a evocare le ruspe si fa certamente prima.