
Il 15 gennaio scorso Anas al-Sharif, nel dare la notizia della tregua a Gaza, si tolse simbolicamente elmetto e giubbotto antiproiettile, “Mi hanno stancato, sono diventati un’estensione del mio corpo”. Quattro giorni dopo, era una domenica, appena entrato in vigore il cessate il fuoco, quel gesto fu ripetuto dai suoi colleghi. La foto di gruppo esprimeva gioia e speranza dopo un incubo di 469 giorni e 47 mila morti. La tregua durò meno di due mesi.
Questa mattina sono stati posti sui feretri di Anas e dei suoi compagni gli elmetti e i giubbotti. Un gesto che si ripete ad ogni funerale di un giornalista di Gaza. Ad oggi sono più di 270 i giornalisti palestinesi uccisi dal 7 ottobre 2023. Sono stati i testimoni di un genocidio. Israele ha deciso di silenziarli.
Se, dopo 22 mesi, tutti gli occhi del mondo sono ancora su Gaza è perché un gruppo di giovani ha deciso di documentare ogni giorno e ogni ora i massacri, le distruzioni, la fame , la sete, le deportazioni, l’orrore. Un mese fa una reporter di Gaza ha scritto su Instagram: “Un giorno, la storia registrerà che un giornalista nella Striscia ha realizzato la più lunga copertura continuativa. Per oltre 600 giorni, abbiamo trasmesso al mondo senza sosta i dettagli della guerra, mentre noi stessi venivamo presi di mira, affamati e sfollati…“.
In queste ore sta girando sui social il testamento lasciato da Anas. Una lettera di addio per i figli, la compagna, la madre. E una dichiarazione d’amore per la Palestina. Sapeva di essere un target. Ma non è giusto scrivere il proprio testamento a 28 anni.