
Sindacati, Confindustria e il Ministero per le Imprese Made in Italy, tutti contro il sindaco di Taranto Piero Bitetti e il consiglio comunale, che mercoledì sera hanno bocciato il piano di rilancio ministeriale dell’ex Ilva di Taranto. Per il sindacato Fim-Cisl la decisione condanna allo stabilimento alla perdita di oltre 7000 posti di lavoro tra dipendenti diretti e dell’indotto.
Sono 15.000, secondo le stime di Confindustria, Confapi e Aig, la maggioranza delle aziende dell’indotto ex Ilva, che, in una nota congiunta, ribadiscono l’urgenza di invertire la rotta rispetto all’ondata anti-industrialista e esprimono sostegno alla bozza di accordo di programma ministeriale che prevede la decarbonizzazione progressiva in 12 anni della acciaieria tarantina.
C’è da dire che il documento politico licenziato dal consiglio comunale di Taranto non prevede la chiusura tout court dello stabilimento, ma una decarbonizzazione più breve su 5 anni col mantenimento dei livelli occupazionali e misure per la diversificazione economica. Il ministro Adolfo Urso, da parte sua, ha, intanto, accelerato l’iter ministeriale dando una spallata al sindaco Bitetti con il via libera del nuovo bando per la vendita delle due società per azioni Ilva e Acciaierie d’Italia con importanti novità rispetto al bando precedente.
Si consente ora l’acquisto dell’intero complesso aziendale, non solo Taranto, ma anche Racconigi, Novi Ligure e Genova e la decarbonizzazione non è più un’opzione, ma un obbligo. Un’altra novità del bando è che anche a Genova potrà essere realizzato un forno elettrico, una decisione che gli ambientalisti e il capoluogo Ligure hanno definito oscena.
di Valentina D’Amico