
L’omelia è stato il manifesto del suo Pontificato. Papa Leone XIV ha parlato sia alla sua Chiesa sia al Mondo. Ha iniziato con un ricordo di Francesco e una cronaca del Conclave che lo ha eletto. Lo ha fatto per arrivare a dire di “essere stato scelto senza alcun merito”, di essere “un fratello che vuole farsi servo della vostra fede”, che ha come missione l’unità.
In queste parole è condensata la promessa di collegialità del governo della Chiesa che è stata uno dei presupposti della sua elezione. Il concetto è ribadito con ancora maggiore forza in un passaggio successivo quando Papa Prevost dice che “Pietro deve pascere il gregge senza mai cedere alla tentazione di essere un condottiero solitario o un capo al di sopra degli altri facendosi padrone della persone a lui affidate”.
Il riferimento diretto è al ruolo del pontefice dentro la Chiesa, ma è innegabile vederci anche un richiamo al Mondo, a una visione alternativa della leadership, intesa come servizio al bene comune, in un momento in cui invece gli autocrati e i populisti – arrivati al potere attraverso elezioni – dominano la scena mondiale.
L’intera omelia di Papa Leone gioca su questo binario parallelo. Lo fa anche quando afferma che non si deve mai catturare gli altri con la sopraffazione, la propaganda o il potere”. O quando afferma che che le differenze sono un elemento di ricchezza. Delinea il percorso di una Chiesa che si deve porre come modello alternativo a livello globale. Se la forza e la violenza, le guerre imperano, se i nazionalismi e le politiche identitarie imperversano, Papa Prevost propone ai cattolici di non chiudersi nel “nostro piccolo gruppo, ne sentirci superiori al mondo”, ma al contrario di lavorare per il dialogo in modo da essere, come dice “lievito di un mondo riconciliato”.
L’urgenza di indicare una prospettiva diversa, con la pace come priorità, ma anche l’idea che tutti debbano concorrere a crearla, che non siano solo i potenti a decidere la sorte altrui, sono gli elementi alla base del suo messaggio d’esordio.