
Lo scontro con Matteo Renzi sulle riforme, su chi è più coerente nel caso di sconfitta al referendum confermativo, la “supercazzola” evocata da Patuanelli con la benedizione di Giuseppe Conte che annuiva dalle tribune, le mancanze su tante promesse della campagna elettorale, il silenzio su Gaza. Per un’ora e mezza è andato in scena al Senato il premier time, domande e risposte tra Meloni e l’opposizione, perché gli interventi della maggioranza erano naturalmente miele per Giorgia Meloni.
Ha parlato di molti temi, con la risposta pronta e le solite accuse a chi governava nel passato, ma ha mostrato un fianco debole che a quasi metà legislatura pesa, perché si tratta dei temi sociali sui quali aveva riversato le maggiori promesse elettorali, le bollette del gas e luce mai diminuite in questi anni, i salari, le liste di attesa nella sanità.
Per Meloni, dopo due anni e mezzo di governo, sono ancora “priorità” che – dice – consideriamo irrinunciabili. Ma, come le è stato fatto notare da Patuanelli, Boccia e De Cristoforo, il problema è che il costo delle bollette è aumentato e che i salari sono bassi rispetto all’inflazione – quest’ultimo un tema cruciale, ricordato il Primo Maggio anche dal Presidente della Repubblica – per finire con le liste di attesa e qui, con la tecnica consueta dello scaricabarile, Meloni sposta le responsabilità sulle Regioni perché, dice, “noi il decreto sulle liste lo abbiamo fatto” e quindi per lei la colpa è delle Regioni che non lo applicano.
Insufficiente tutto questo per le opposizioni che le rimproverano l’obiettivo di portare la spesa militare al 2% non sapendo bene dove prendere i soldi – Giorgetti oggi nemmeno era presente – ma per la Presidente del Consiglio la via d’uscita per presentarsi forte è sempre l’immigrazione. Rivendica che ora i Crp funzionano, annuncia che il 25‰ dei migranti ora in Albania sarà rimpatriato, ma se si traducono le percentuali in numeri dovrebbero essere non più di dieci.