
Sui dazi non si sono soffermati troppo. Donald Trump si è mostrato conciliante: “Faremo un accordo al 100% con l’Unione Europea” – ha detto. Giorgia Meloni ha specificato: non sono qui a trattare in nome dell’Europa. Ma nell’invitare Trump a una visita ufficiale a Roma – invito accettato – l’ha esortato a un incontro diretto con Ursula Von Der Layen. Su questa proposta, davanti alle telecamere, il presidente Usa ha glissato.
A lui interessava dare importanza al ruolo di mediatrice con cui lei si è presentata alla Casa Bianca, ma soprattutto voleva, come ha fatto a più riprese, esaltarne la capacità di leadership e la visione politica. Per Trump, tutti questi complimenti, sono stati un modo per dire che con la sovranista Giorgia Meloni, con la sua idea di Europa, ben diversa da quelle che hanno Berlino e soprattutto Parigi, lui riusciva a dialogare.
Le affinità ideologiche dei due sono emerse con forza. Faremo insieme di nuovo grande l’Occidente, ha detto lei. I migranti e la cultura woke – come ha esordito nelle dichiarazioni Meloni – i nemici dichiarati. La sintonia è stata perfetta. Così, in pochi minuti, lei, nello Studio Ovale, è passata dal ruolo di ambasciatrice della UE sui dazi a quello di proconsole del Trumpismo in Europa. Era ciò che entrambi volevano.
Ma far parte del club, ha comunque un prezzo. Che il presidente USA ha indicato nel bilaterale. Lui ha dettato l’agenda, lei si era già preparata ad accettarla, senza troppe discussioni.
Dieci miliardi di investimenti delle aziende italiane negli Usa; la rassicurazione che l’Italia acquisterà più gas dagli Stati Uniti. Sulle spese militari italiane la promessa di aumentarle, senza però specificare di quanto. Evitato l’imbarazzo di una domanda sull’Ucraina, i due hanno portato a casa quello che volevano dal loro incontro. Soprattutto Donald Trump.