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Il forte valore simbolico della visita di Joe Biden a Kyiv

Biden Kyiv ANSA

La visita di Biden a Kyiv ha un fortissimo valore simbolico. Un presidente americano si è recato in un paese in guerra dove gli Stati Uniti non controllano direttamente le infrastrutture.

La Casa Bianca ha fatto sapere di aver avvisato Mosca del viaggio di Biden poche ore prima della partenza, ma in ogni caso i rischi per la sua sicurezza c’erano. Bene, nonostante questo a Washington hanno valutato che la presenza sul terreno del presidente in questo momento fosse assolutamente necessaria.

Questo ci dice che nonostante la prudenza nel rifornimento di armi e i continui calcoli per evitare che il conflitto esca dai confini ucraini, l’amministrazione Biden è determinata a fare di tutto per evitare che Putin vinca questa guerra. Anzi, il viaggio di ieri sembra confermare proprio l’ottimismo americano per quanto riguarda il suo esito.

Lo scorso febbraio Putin sperava di conquistare Kyiv nel giro di pochi giorni. Un anno dopo il presidente americano ha passeggiato nel centro di quella stessa città, che il Cremlino pensava di poter facilmente controllare.

Come ha detto lo stesso Biden durante l’incontro con Zelensky, il suo viaggio conferma anche la visione condivisa da molti in Occidente. La guerra degli ucraini contro la Russia – con tutto il supporto occidentale – è una guerra a difesa di una serie di valori: libertà, democrazia, integrità territoriale, sovranità nazionale.

Con questo viaggio a sorpresa Biden ovviamente ha lanciato un messaggio agli ucraini, agli americani, ma anche ai russi, proprio alla vigilia del discorso di Putin sullo stato della nazione.

Secondo alcuni analisti russi il suo intervento sarebbe già stato piuttosto duro, ma dopo gli sviluppi delle ultime ore verrà probabilmente rivisto in modo da suonare ancora più esplicito, soprattutto nei confronti degli Stati Uniti.

In effetti, se adottiamo la prospettiva del Cremlino, la visita di Biden a Kyiv suona come la conferma della guerra americana per procura. Una guerra contro la Russia combattuta sul territorio ucraino. Questo rafforza l’idea dell’Occidente, della NATO, come minaccia alla sicurezza nazionale.

A prescindere da quello che dirà oggi Putin, è evidente come Mosca sia piuttosto lontana da una vittoria in Ucraina. È vero che in questi mesi il territorio sotto il suo controllo è aumentato. La presa di Mariupol, la conquista di una parte delle regioni di Kherson e Zaporizhia, l’avanzata – seppur limitata – nella parte alta del Donbas, la regione di Luhansk. Ma dal punto di vista geopolitico e geostrategico è successo esattamente il contrario di quello che avrebbe voluto il Cremlino – sganciare Kyiv dall’orbita occidentale.

L’Ucraina rimane vulnerabile, ma è ormai legata sempre di più a doppio filo a Europa e Stati Uniti. La visita di Biden a Kyiv lo ha confermato.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    Il 2 marzo il governo israeliano ordinava il blocco totale dell’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Oggi, esattamente due mesi dopo, il blocco è ancora in essere e da due mesi nella Striscia non entra niente: né cibo, né acqua, né medicinali, né carburante. La situazione peggiora giorno dopo giorno, le scorte sono ormai esaurite e la fame sta dilagando. In questo contesto di blocco totale, il più lungo che Gaza abbia mai sperimentato, dove morire di fame non è più solo un modo di dire, le ong e le organizzazioni umanitarie cercano di sopperire alle colpevoli mancanze dei governi. È in quest’ottica che la nave della Freedom Flotilla Coalition, si stava preparando a partire per Gaza carica di aiuti umanitari, con l’obiettivo di rompere l’assedio. Questa notte, però, la nave è stata colpita da due droni, che hanno fatto scoppiare un incendio e ne hanno ovviamente impedito la partenza. Abbiamo raggiunto a Malta Simone Zambrin, attivista di Freedom Flotilla, che si sarebbe dovuto imbarcare oggi per andare verso Gaza.

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    Il Comitato Sì Meazza presenta un esposto alla Corte dei conti contro il nuovo stadio

    Non è arrivata nessuna proposta alternativa. Quella presentata da Inter e Milan è rimasta l’unica offerta per l’acquisto dello stadio di San Siro e delle aree vicine al “Meazza”. Il Comune di Milano lo ha comunicato, alla mezzanotte del 30 aprile, alla scadenza dell’avviso pubblico per la raccolta di manifestazioni d’interesse. Un esito prevedibile, dal momento che la finestra è rimasta aperta per poche settimane. Ora proseguiranno i lavori della Conferenza dei servizi, già iniziati quando potevano arrivare anche altre proposte. Il fronte di chi si oppone ai piani dei due club e a come la giunta comunale sta gestendo la vicenda tenta ancora di interrompere il percorso avviato. Oggi il comitato Sì Meazza, dopo aver già fatto un esposto alla Procura, ha inviato alla Corte dei conti una segnalazione perché indaghi per danno erariale, chiamando in causa il Comune. Luigi Corbani del comitato Sì Meazza spiega perché ha depositato questa segnalazione.

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    1) Gaza senza cibo da due mesi. Il blocco israeliano agli aiuti continua indisturbato mentre la fame dilaga tra la popolazione. Nella notte colpita con droni la nave della Freedom Flotilla, che voleva portare aiuti nella striscia. (Sami Abu Omar, Simone Zambrin - Freedom Flotilla) 2) Guerra in Ucraina. Secondo le Nazioni Unite la situazione lungo il fronte è peggiorata da quando sono iniziati i negoziati per il cessate il fuoco. In esteri la testimonianza da Sumy. 3) Germania, i servizi segreti classificano Afd come partito estremista. I leader del partito rispondono: azione politica, ci difenderemo. (Alessandro Ricci) 4) L’effetto Trump sulle elezioni nel pacifico. Domani Australia e Singapore al voto. In entrambi i casi i dazi americani hanno ribaltato i sondaggi. (Lorenzo Lamperti) 5) Mondialità. La partita sul clima si gioca tra Usa e Cina. (Alfredo Somoza)

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