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Il governo sceglie viceministri e sottosegretari, la stretta del Viminale contro i rave e le altre notizie della giornata

Piantedosi Viminale ANSA

Il racconto della giornata di lunedì 31 ottobre 2022 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Il Consiglio dei ministri di oggi ha ufficializzato la lista di viceministri e sottosegretari del governo Meloni, frutto di una lunga trattativa tra i partiti della maggioranza. Intanto oggi, mentre a Modena con le norme esistenti si faceva terminare un rave senza tensioni, a Roma il governo riscriveva leggi inventandosi una nuova norma del codice penale per contrastare le feste illegali. Le forze russe sono tornate a colpire le infrastrutture energetiche di diverse città dell’Ucraina dopo dopo l’attacco di sabato alle navi russe in Crimea. Lula da Silva ha vinto al ballottaggio e nel suo primo intervento da Presidente del Brasile ha ha promesso di pacificare il Paese.

Sgarbi, Fazzolari e Durigon tra i sottosegretari del governo Meloni

(di Andrea Monti)

Il più conosciuto è Vittorio Sgarbi, che torna sottosegretario alla cultura 20 anni dopo averlo fatto con Berlusconi, ma sono diverse le nomine interessanti uscite dal Consiglio dei Ministri. Giorgia Meloni piazza il suo braccio destro Giovanbattista Fazzolari come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’attuazione del programma. Per Fratelli d’Italia da segnalare almeno altri tre nomi: alla difesa Isabella Rauti, figlia di Pino, l’ex segretario dell’Msi; all’istruzione Paola Frassinetti, dirigente storica dell’estrema destra milanese, più volte presente alle commemorazioni dei repubblichini sepolti nel cimitero Maggiore; alle infrastrutture Galeazzo Bignami, di cui l’anno scorso si parlò per una foto con la svastica al braccio (“era un addio al celibato, una goliardata”, disse lui per difendersi).
Passando alla Lega, al ministero del lavoro torna Claudio Durigon: nominato all’economia con Mario Draghi, si dimise dopo aver proposto di re-intitolare un parco dedicato ai magistrati Falcone e Borsellino ad Arnaldo Mussolini, fratello di Benito. Salvini ottiene che tra i sottosegretari alla presidenza del consiglio ci sia il fedelissimo Alessandro Morelli e che al ministero dell’interno resti Nicola Molteni, già parte del governo Draghi e del primo Conte, quello della guerra aperta alle ong.
Infine Forza Italia: Berlusconi può festeggiare perché alla giustizia va il suo ex avvocato Francesco Paolo Sisto e perché all’editoria va il giornalista Alberto Barachini, a lungo in Mediaset, mentre Valentino Valentini (al centro di polemiche per i suoi rapporti con la Russia) non va agli esteri, come ipotizzato, ma diventa viceministro allo sviluppo economico.

Le prime strette del governo: Piantedosi dichiara guerra ai rave

La guerra ai rave ora è aperta. Vedremo nei prossimi mesi se la destra vorrà andare fino in fondo e in che modo, ma i presupposti per uno scontro durissimo ora ci sono. Mentre a Modena con le norme esistenti si faceva terminare un rave senza tensioni, come successo molte altre volte, a Roma il governo riscriveva leggi inventandosi una nuova norma del codice penale per contrastare le feste illegali: “Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o la salute pubblica” recita il nuovo articolo di legge. Le pene sono fino a sei anni di carcere per gli organizzatori, diminuiscono per i partecipanti. Le multe vanno da mille a diecimila euro. E poi c’è la confisca delle cose utilizzate per fare la festa. Tradotto gli impianti audio, le casse, i mixer, i campionatori: il bene più prezioso per chi organizza un rave. Sequestrare gli impianti alzerà la tensione nei futuri sgomberi perché gli impianti diventeranno qualcosa da difendere. Feste pacifiche rischiano di finire in scontri e violenze, in contesti molto delicati con una presenza massiccia di minorenni, l’uso di droghe e migliaia di persone. Ma c’è un altro rischio: queste stesse norme potrebbero valere anche per altri tipi di feste illegali, come quelle universitarie o politiche. Usando i rave la destra potrebbe voler stringere anche altrove.

Ci aspettavamo qualcosa di diverso dalla destra al governo? No

(di Luigi Ambrosio)

In campagna elettorale Giorgia Meloni affermava che una volta al potere si sarebbe finalmente occupata dei problemi degli italiani. E citava spesso le bollette, la crisi, le paure legate all’economia durante la guerra.
Poi Giorgia Meloni ha vinto le elezioni, oggi c’è stato il primo consiglio dei ministri, e si può fare un primo bilancio.
Il governo ha:
innalzato il tetto del contante. Usato il pugno di ferro contro i raver. Ribadito che l’ergastolo ostativo non si tocca. Abolite le multe per i non vaccinati e reintegrato al lavoro il personale sanitario non vaccinato.
E le bollette?
Le bollette niente, non pervenute.
Fare politica economica è difficile. Solleticare la pancia dell’elettorato è semplice. Sembra un po’ questo il filo conduttore di quanto Meloni ha fatto fino a oggi.
Un impianto di destra securitaria su cui si salda la volontà di soddisfare aspettative di fette di elettorato. Pensiamo ai no vax, a cui è arrivato chiaro il messaggio: con noi la musica è cambiata. E se la comunità scientifica protesta e si preoccupa perché il covid è ancora in circolo, pazienza. L’importante è marcare la differenza con l’odiato, dai no vax, ministro Speranza. Oppure pensiamo a tutti coloro che per qualsiasi ragione il tracciamento dei pagamenti non lo potevano sopportare. Anche loro, come i no vax, soddisfatti in nome della libertà.
È un concetto di libertà di stampo sovranista, di stampo trumpiano, che ben si accompagna al pugno duro là dove convenga in termini di consenso elettorale. I raver da questo punto di vista sono il bersaglio perfetto. Gli ergastolani pure. E aggiungiamoci i migranti e le navi delle ong di nuovo nel mirino, coi porti chiusi (questa è l’altra cosa che stanno facendo).
Sembra un programma elaborato in certi talk show o in certi canali della disinformazione cari alla destra. E forse, un po’, è così davvero.

La Russia torna a bombardare Kiev dopo l’attacco alle navi in Crimea

Dall’Ucraina in queste ore arrivano foto di persone in coda per l’acqua a Kiev, dopo che le forze russe sono tornate a colpire le infrastrutture energetiche di diverse città. Nella capitale, secondo il sindaco, il 40% della popolazione è senza acqua corrente e 270mila case sono senza elettricità. I nuovi bombardamenti arrivano dopo l’attacco di sabato alle navi russe in Crimea, a cui il regime di Putin ha risposto annunciando la sospensione dell’accordo che aveva permesso la ripresa delle esportazioni di cereali dall’Ucraina. Secondo le autorità di Kiev oggi 12 navi cariche di grano sono riuscite comunque a lasciare il paese. Negli Stati uniti intanto la tv Nbc ha svelato una telefonata in cui mesi fa il presidente americano Biden si sarebbe arrabbiato con quello ucraino Zelensky.

(di Roberto Festa)

Lo scorso giugno, una telefonata tra Joe Biden e Volodimir Zelensky finì piuttosto male. Biden stava annunciando al presidente ucraino l’invio di un altro miliardo in assistenza militare, ma Zelensky sembrava non ascoltare e chiedeva nuovi aiuti. Biden perse la pazienza, alzò la voce, e disse che Zelensky avrebbe dovuto dimostrare maggiore riconoscenza per la generosità dimostrata dal popolo americano. L’episodio è ora raccontato dall’emittente TV NBC, che cita quattro diverse fonti. L’alterco venne presto superato. Quello stesso giorno, Biden e Zelensky fecero dichiarazioni pubbliche: di continuo sostegno agli ucraini, da parte di Biden; di riconoscenza per il popolo americano, da parte di Zelensky. La sfuriata di Biden rivela comunque come già lo scorso giugno il presidente statunitense fosse ben consapevole dell’eccezionalità dello sforzo americano, e di come questo potesse non durare per sempre. Gli Stati Uniti hanno impegnato, a favore di Kyev, 27 miliardi e mezzo in aiuti militari, e altri 25 milioni in assistenza finanziaria e umanitaria. Si tratta della cifra più larga stanziata da un’amministrazione USA dalla guerra in Vietnam. Lo straordinario afflusso di miliardi in armi continua in queste settimane, per sostenere la controffensiva ucraina su Kherson. Ma i cordoni della borsa americana potrebbero stringersi presto. I repubblicani hanno già spiegato che, nel caso riprendessero il controllo del Congresso al midterm, non ci sarà più un assegno in bianco per Kyev. Probabile il taglio non degli aiuti militari, ma di quelli umanitari. Intanto, la guerra in Ucraina perde di centralità tra gli americani. Un sondaggio del Pew Research Center dice che il 26 per cento degli americani non è interessato alla guerra. Era il 16 per cento a maggio. Alzando la voce con Zelensky, Biden anticipava dunque una cosa: che lo straordinario impegno americano a favore di Kyev avrebbe potuto, presto, avere fine.

Lula vince al ballottaggio e promette di pacificare il Brasile

In Brasile si aspetta ancora la prima dichiarazione del presidente uscente Bolsonaro dopo la sconfitta alle elezioni di ieri, che hanno segnato il ritorno di Lula alla guida del paese. Da San Paolo il nostro collaboratore Luigi Spera:


 
(di Chawki Senouci)

Ha vinto Lula da Silva. Non ha stravinto. I delusi, quelli che volevano una vittoria tipo 56% a 44%, si sono fidati troppo dei sondaggi della vigilia. Storicamente la destra estrema è un osso duro quando è al potere. Lula ha avuto il coraggio di sfidarla dopo una lunga traversata del deserto.
Ha almeno tre grossi meriti. Ha centrato un traguardo storico, la terza elezione a presidente del Brasile. Ha battuto Bolsonaro, che cosi diventa il primo presidente uscente brasiliano non rieletto, un’umiliazione. Infine, conoscendo le debolezze del suo partito, il PT, Lula ha costruito un’alleanza che va dalla sinistra radicale e ambientalista al centro moderato, un campo larghissimo, una specie di fronte repubblicano per mandare a casa un pericoloso negazionista, omofobo e razzista.
Nel suo primo intervento Lula ha promesso di pacificare il Brasile, compattarlo, perché oggi il Brasile è diviso tra nord-est e il resto del paese, tra ricchi e poveri, tra sinistra e destra estrema, tra cattolici e laici da una parte e sette evangeliche dall’altra.
Come sostiene in un post sui social la sindaca di Barcellona Ada Colau, non è colpa della popolazione se il Brasile è più polarizzato che mai. La popolazione non può fare nulla contro il potere con la P maiuscola – economico, militare, giudiziario e mediatico – che ha scommesso su Bolsonaro. Nonostante ciò Lula ha vinto. Lula sa cosa l’aspetta e cosa si aspettano i brasiliani da lui. Sa che la vera battaglia inizia ora, ma ha già dimostrato che non ha paura di affrontare le sfide importanti, come la lotta alla povertà e alle disuguaglianze.

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