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In Afghanistan la minaccia dei talebani arriva dove le donne dovrebbero essere al sicuro

donne afghanistan

In Afghanistan le minacce dei talebani continuano ad arrivare anche nei luoghi dove le donne dovrebbero essere al sicuro. Due giorni fa, alcune dipendenti della missione Onu nel Paese sono state imprigionate e interrogate da alcuni uomini armati: è quanto riporta un esperto delle Nazioni Unite. Queste intimidazioni sono in netto contrasto con l’obbligo di garantire sicurezza a tutto il personale Onu in Afghanistan, previsto dal diritto internazionale.

Che la repressione delle donne sia una costante degli ultimi mesi non è una novità: da un anno, la situazione continua a peggiorare. Ce lo racconta Maryam, attivista per l’Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan.

“Sin dai primi giorni i talebani hanno chiuso tutte le scuole per le ragazze, l’educazione è stata fortemente limitata. Ora le donne sono autorizzate solo a lavorare in alcuni contesti di cura e come insegnanti alle scuole elementari, in ogni caso solo lavori specifici. Molte delle Ong, organizzazioni umanitarie, agenzie private e servizi del governo sono collassati e le donne sono state lasciate indietro. C’erano ad esempio molte donne che lavoravano in agenzie private ma ora non possono più farlo. Le ragazze devono coprirsi con vestiti neri: i talebani infatti hanno detto che è il colore migliore che le donne possono vestire, e quindi ora sono coperte di nero dalla testa ai piedi. Non hanno il permesso di viaggiare in Afghanistan da sole, devono sempre essere accompagnate da un parente maschio, in accordo con la Sharia. Queste violazioni dei diritti sono imposte dai talebani, esattamente come era successo durante il loro primo periodo di governo.
Tutti gli uomini e le donne stanno soffrendo per il collasso del sistema economico, per la mancanza di cibo e di sicurezza, per la mancanza di lavoro. Se l’economia non funziona, la vita di tutti i giorni diventa difficile, anche il prezzo del cibo e dei beni comuni sta diventando sempre più alto. Tutti i gruppi religiosi e etnici che vivono in Afghanistan sono fortemente contro i talebani e contro il fondamentalismo, hanno visto e avuto esperienza del loro governo precedente e non vogliono cedere ai valori talebani, vogliono avere un’alternativa migliore.”

L’Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan, di cui fa parte anche Maryam, esiste dal 1977 e si batte per una situazione sociale e politica più giusta, per le donne ma anche per tutta la popolazione. Riescono ad organizzare scuole per le bambine, corsi di alfabetizzazione per le donne adulte, e distribuiscono viveri per la popolazione civile. “Da più di un anno le donne protestano in Afghanistan, ogni volta vengono maltrattate e arrestate, ma vanno avanti”, dice Maryam. L’associazione di cui fa parte è un esempio della resistenza che viene dal basso, che coinvolge anche le vittime, e che prova a immaginare una prospettiva per il Paese.

“La soluzione migliore per l’Afghanistan sarà avere un governo democratico e secolare, sottolineiamo che dovrebbe essere secolare perché la religione è sempre stata usata come uno strumento contro le persone e questo deve finire. Ovviamente questa è una lunga battaglia e richiede sacrifici. Molte organizzazioni che si stanno opponendo ai talebani, come la nostra, stanno provando a farlo anche tramite i passi più piccoli.
Dal punto di vista politico noi vediamo che gli Stati Uniti stanno appoggiando i talebani e diversi altri gruppi terroristici, ma anche Cina e Russia sono presenti in Afghanistan e appoggiano i loro gruppi fondamentalisti preferiti, e questo rende molto complicato per le nostre persone organizzare la resistenza”.

Maryam in questi giorni si trova in Italia: è arrivata nel nostro Paese per un ciclo di incontri organizzato dal Coordinamento Italiano a sostegno delle Donne Afghane. Il suo obiettivo è proprio diffondere consapevolezza sulla situazione del Paese.

di Chiara Vitali
foto di Rawa, pagina Facebook Cidsa (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane)
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